Il talento di Letizia Cesarini
Una scarica di rock ​potente e sincero

Il talento di Letizia Cesarini Una scarica di rock potente e sincero
di Andrea Maccarone
3 Minuti di Lettura
Venerdì 28 Aprile 2017, 11:25
La PJ Harvey italiana è cento-per-cento marchigiana. E sta per sfornare il quarto disco che sa di anni Sessanta. Letizia Cesarini, per tutti Maria Antonietta, è stata la rivelazione del cantautorato indipendente italiano nel 2012. E da allora la giovane pesarese ha conquistato pubblico e critica. Tre album pubblicati, una vita in tour e le carezze di tutto l’ambiente indie italiano che l’accoglie con la dolcezza che merita. Ora Maria Antonietta è al lavoro per il suo quarto album. «Nel disco ci saranno gli anni Sessanta e lo spazio» dice la cantautrice.

Bene. Ma che vuol dire?
«Vuol dire che la dimensione del sogno e della letteratura saranno ancora più presenti per la composizione di testi e musiche. I brani sono ormai a buon punto e a breve entrerò in studio per registrare».

Quali scrittori ha letto di recente?
«Ho letto tonnellate di pagine di autrici come Cristina Campo, Emily Dickinson, Anne Sexton e Sylvia Plath. Penso e spero che un poco della loro misura sia entrata dentro i brani».

Dunque le parole sono molto importanti per lei, non è così?
«Direi che sono fondamentali. Per me la parola ha sempre preceduto la musica. Da quando ero bambina sono stata sempre una lettrice compulsiva. Penso che siano state le parole a portarmi verso la musica e non viceversa. Negli anni, però, ho imparato a tributare la stessa rilevanza all’aspetto musicale».

Quindi è la letteratura la sua ispirazione?
«Non solo. Scrivo canzoni perché leggo un verso che mi colpisce, perché vedo un quadro, perché cammino sul fiume e mi sento grata. Oppure perché provo rabbia, frustrazione o gelosia. Nasce tutto dai sentimenti, che siano miei o di altri, perché in fondo credo che tutta la realtà sia solo una proiezione dei nostri sentimenti, della nostra visione».

E da questo mondo fatto di letteratura, storia e sentimenti viene anche il suo nome d’arte?
«Direi di sì. E’ un omaggio alla regina Maria Antonietta, personaggio a mio avviso mistificato e giudicato molto sommariamente. Del resto la comprensione in questa vita per ognuno di noi è un fenomeno altamente improbabile».

La canzone d’autore italiana ha conquistato le nuove generazioni.
Stiamo vivendo una primavera della musica?

«Credo che sia in essere la fase in cui ciò che è indipendente diventa mainstream, ovvero i confini si fanno più fluidi e liquidi. Credo anche che i confini e le etichette siano, in genere, deleteri. Quindi evviva. Poi ognuno fa il suo percorso più o meno discutibilmente, più o meno felicemente. Non sono qui per giudicare».

Lei cita spesso Giovanna D’Arco. Come mai?
«Per me è sempre stata una grande ispirazione. Una ragazza giovanissima che in una società non esattamente benevola nei confronti delle donne intraprendenti ha coltivato la propria visione ed esplicitato la propria volontà contribuendo a mutare il corso della storia».

Club, teatri, festival. Dove si sente più a suo agio?
«Dipende dallo spettacolo. Se suono con la band, il club è la dimensione più divertente. Se invece suono chitarra e voce in acustico il teatro ti permette di giocare con ogni minima dinamica e creare uno spazio nuovo. I festival sono le situazioni più incognite, anche tecnicamente le più difficili da gestire ma anche quelle in cui puoi condividere di più con gli altri musicisti e questo è un punto su cui dovrò fare dei passi avanti data la mia timidezza. Vedrò di migliorare col prossimo tour».

E quando sarà il prossimo tour?
«Le date precise ancora non le abbiamo. Tra poco entrerò in studio per registrare il disco. Tutto dipende anche dal periodo di uscita dell’album. Ma sicuro entro l’anno».

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