La droga nascosta nei frigoriferi oppure nei magazzini al fianco delle scatole di pelati, le armi in alcuni casi occultate in cassetti ricavati nelle scale mentre seduti ai tavolini - pure con un caffè davanti - non c’erano dei “normali” clienti. Quelli che ci si aspetta di incontrare, in fondo, in un bar. Non è un meccanismo nuovo: le attività commerciali (nel novero ci sono anche ristoranti, centri massaggi, tabaccai) che prestano il fianco a bande e gruppi criminali, che vengono rilevate con uno scopo preciso, ovvero quello di trasformarle in basi di stoccaggio della droga, di spaccio o in centri idonei per i “summit” di mala è storia nota fin dai tempi della banda della Magliana. Di nuovo ci sono le licenze revocate dalla Prefettura a locali “macchiati”, in odore di camorra, ‘ndrangheta, o al servizio della criminalità albanese. Durante lo scorso anno da Palazzo Valentini sono arrivati 21 provvedimenti di revoca licenze o Scia per altrettante attività. Tra queste oltre a quella per il “Bar Moccia” di via Giovanni Castano, usato come base di spaccio, ci sono anche due attività di Dragoncello finite nell’operazione “Alta marea” della Squadra Mobile. Il “Grease” di via Ottone Fattiboni e l’ “Oly & Stè” di via Ottaviano Ubaldini. Entrambi gli esercizi erano usati come “basi logistiche” per lo spaccio da parte di un’articolata associazione per delinquere in rapporti con la criminalità organizzata albanese e campana.
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Centri di summit
Ancora: nell’elenco c’è pure l’attività di cura della persona “New Elisir” di via Degas 83 alle spalle della Casilina usata come luogo di summit da parte di diversi pregiudicati per estorsione aggravata dal metodo mafioso.
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Le altre irregolarità
Tra le revoche firmate dalla Prefettura anche quella contro il centro massaggi di via Sebastiano Ziani finito al centro di un’operazione dei carabinieri della compagnia di Frascati per sfruttamento della prostituzione. Senza contare tutti quei provvedimenti firmati per sospendere l’attività di minmarket, soprattutto nel quartiere di San Lorenzo, perché responsabili della “malamovida” del quartiere oppure perché non rispettosi delle norme varate in piena emergenza sanitaria sul contenimento della pandemia da Covid-19.