Valentina Lodovini: «Sono una romanticona, ma l'amore può farti perdere la libertà. Troppa ansia, tate, orari nelle famiglie di oggi: il cellulare è il nuovo Fentanyl»

Valentina Lodovini è la protagonista di “Unicorni”, il nuovo film di Michela Andreozzi, dove veste ancora una volta i panni di una genitrice. «Io non lo sono ed ero stanca di esserlo sul set. Ma questa è una pellicola politica sulla facoltà di scegliere. I miei mi hanno regalato il libero arbitrio, ma ora nelle famiglie vedo complicazioni e superficialità»

Valentina Lodovini: «Sono una romanticona, ma l'amore può farti perdere la libertà. Troppa ansia, tate, orari nelle famiglie di oggi: il cellulare è il nuovo Fentanyl»
di Alvaro Moretti
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giovedì 24 luglio 2025, 07:15 - Ultimo aggiornamento: 13:19

Don't look back in anger”: chissà se ha anche questo passo del suo vangelo-rock tatuato (ho avuto il pudore di chiederglielo, mi sono tenuto la curiosità).

L'ho pensato vedendo le sue stories dal mitico concerto degli Oasis a Manchester, lei sul prato con centomila. Ha segni piccoli che significano, Valentina Lodovini: la rabbia l'accende quando serve, per rivendicare. C'è sicuro una frase di Al Pacino, sul corpo di una cinefila incallita.

Una volta al cinema, in Cambio Tutto, divenne una specie di Erinni alla Un giorno di ordinaria follia. Le sue donne, spesso madri, molto mogli, si prendono gli spazi: i registi la vedono così, gli sceneggiatori le lasciano pagine quasi bianche. E lei, che moglie e madre non è, risulta così amata da mogli e madri. Forse per quella passione per i diari, coltivata frequentando l’archivio dei diari di Pieve Santo Stefano. «Andateci a leggervi la storia vera degli italiani: le storie le cerco lì e lì trovo ispirazione anche per i miei personaggi».

Nei cinema d'estate – e poi nelle piattaforme «ma anche nella tv generalista» – porta un'altra madre. Una madre “Unicorno”. Perché Michela Andreozzi firma proprio Unicorni, presentato in anteprima ai ragazzi di Giffoni, una “dramedy” che parla delle famiglie e di chi ha un figlio – come nel caso di Elena e Lucio (un ottimo e introspettivo Edoardo Pesce) – che si chiama Blu e che alla prima recita scolastica chiede di essere la Sirenetta Ariel. Una madre protettiva, che mentre difende la libertà del figlio di sentirsi come vuole, cresce da una dimensione di bambina a una scelta di guerriera dei sentimenti liberi. Chi non accetta la libertà di Blu di vedersi Sirenetta (per un giorno, per tutta la vita: chissà, dice il film) si prepari a rompere con Elena-Valentina.

Un'altra madre (e un'altra arriverà a dicembre, con Argentero). Si può dire “Tengo Famiglie”?
«Si potrebbe dire che “tengo famiglie”. Io volevo lavorare con Andreozzi, da anni. Ci inseguivamo. Poi mi propone un'altra madre: io che non lo sono, che non ho mai desiderato esserlo, ero stanca di esserlo sul set. La saga con De Luigi mi aveva dato tanto. Poi ho letto il copione e Michela mi ha fatto capire quel turbamento così chiaro e potente di una mamma di fronte a una scelta del figlio che cambia tutti i parametri. Unicorni è un film politico perché parla della libertà dentro le famiglie: con noi recitano le famiglie dell'associazione che mette in comune l'esperienza non semplice di chi deve supportare le scelte sul genere dei figli.

Con la società che spesso non capisce, non accetta. È stato fortissimo essere con loro: il film pone domande e ti impone di scegliere».

Dal punto di vista di chi ha voluto non esserlo, come sono i genitori che osserva per interpretarli?
«Qui vediamo due genitori progressisti che vanno in crisi perché un conto è parlare dei diritti degli altri, un altro è affrontare – volendolo proteggere – il libero arbitrio del proprio figlio. Ma altri genitori in questo film vanno in crisi per le proprie ipocrisie. Abbiamo aperto Giffoni, ma per questo film vorrei il pubblico degli oratori, della tv generalista, dei cinema. Vorrei che lo vedessero i medici di base e gli allenatori, la gente comune. Chiaro che interpreto donne che vedo intorno a me: devo dire che un po' di incoscienza critica su cosa significhi avere un figlio, educarlo, la vedo. Abbiamo complicato troppo la vita a questi figlioli (molti i toscanismi, un privilegio di Valentina quando parla libera, credo, ndr): sono nata (a Umbertide, ma cresciuta a Sansepolcro) nel 1978 in una famiglia che mi ha sempre fatto il regalo più grande, la libertà. Ora vedo troppa ansia, troppe tate, troppi orari. E per altri aspetti superficialità. La mia Elena in Unicorni è una bambina che cresce per difendere la scelta di Blu. I genitori buoni sono quelli che crescono grazie ai figli: Elena impara la libertà. I giovani, anche quando scelgono la violenza per manifestarsi, vogliono farci capire che sono disposti a soffrire per prendersi uno spazio».

Le sue madri hanno rotto cliché: donne lavoratrici che portano avanti la famiglia, con mariti indefiniti.
«Fare film vale sempre la pena: non cambiamo il mondo, ma possiamo essere importanti. Nella saga 10 giorni..., De Luigi ha molto apprezzato come definissi una Giulia Rovelli così moderna e forte. C'è sempre tanta verità nella commedia: e di film in film, il pubblico che mi ha amato mi ha aiutato a cambiare coi racconti del giorno per giorno».

Torniamo ai giovani: i figli Unicorni sono spesso vittime del giudizio non solo degli adulti.
«Ci sono i social, il cellulare che diventa il nuovo Fentanyl, senza filtri, è tutto pericolosissimo. Alle leggi che vietano l'uso in età troppo giovani io sono favorevole, perché per trasgredirle le regole devi prima conoscerle. Fotti il sistema, studia. Serve conoscere la storia, avere memoria per non farsi irretire da un presente in cui tutto sembra fiction senza verità. Immagini di morti che ci inondano, account di soldati su TikTok, lo stesso femminicidio così proposto non aiuta a capire cosa significhi uccidere, la differenza tra vita e morte. La conoscenza ci salverà, diceva Impastato: non è retorica».

Valentina sembra una ragazza parecchio schietta.
«In Cambio tutto il mio personaggio si tiene le cose, poi sbotta. Io non sbotto perché dico tutto: qui e ora. E disinnesco la rabbia che cova, non mi tengo il cecio in bocca. Ho avuto una vita fortunata, a partire dalla libertà educativa dei miei, ma ho fatto un solo grande investimento: la sincerità assoluta. Possono esserci conseguenze, anche nel mio mondo, qualcuna la devo anche aver pagata. Ma non troppe: sono privilegiata, lo ripeto. Agli stupidi ho sempre preferito i cattivi».

La bellezza e uno sguardo che sembra provocatorio: il cinema l'ha descritta anche così.
«Fisicamente sono questa qui, non sono provocatoria come qualche volta sul set. A me sembro una romanticona, una normalona. La bellezza certe volte è servita ai registi per non scegliermi: troppo bella per questo ruolo. L'attrice è scelta da altri: io faccio di tutto, teatro coi testi di Rame e Fo, non sono Claudia Schiffer. Sicché (toscanamente aspira, ndr) certe volte è una scusa. Mazzacurati nella Giusta Distanza mi vide ragazza della porta accanto; con Marchioni in Vicini di Casa siamo una coppia di poliamorosi scambisti».

Valentina e la fama: un Montalbano è per sempre.
«Covo di vipere, poi: le gente, perfino a Parigi, mi avvicinava e mi diceva che non avrei dovuto fare la scelta estrema che faceva il mio personaggio. Con le parole di Camilleri sono entrata nella storia della tv italiana e questo è un grande orgoglio».

E tra Nord e Sud, Bisio e Siani una toscana in Benvenuti...
«C'era una sfida di dialetti e c'era da essere, per me che non lo sono per natura attoriale, una spalla comica. Quei film sono stati una botta d'amore e anche uno schiudere gli occhi sulla necessità della commedia: come in Unicorni, in quei film la gente si è specchiata. E scoperto i propri stereotipi, pregiudizi, quel pizzico di razzismo che una risata può disinnescare. È la cosa più potente che il nostro mestiere può fare».

Ma lei ci sarà nel seguito?
«(Silenzio, sorriso, ndr) Mi guardo intorno».

Sul mappamondo, Lodovini sceglie l'Irlanda.
«Mi divido tra l'Italia e l'Irlanda: ci trovo l'umanità di un popolo che insegna empatia a scuola, perché pensano che quello è uno strumento buono e devi allenarlo. Poi c'è un'Europa che ha rispettato la natura: la mia vita è arte e natura, sono le mie coperte di Linus. Se vedo il bello, mi sento protetta».

Il bello e il profetico. S'è appassionata al calcio per seguire Pasolini.
«Ho un nipote che gioca nel Sansepolcro, ma l'ossessione m'è venuta leggendo il calcio attraverso le parole di Pasolini: poeta e veggente. Guardate alla nostra realtà e pensate agli scritti corsari: per me lui è un faro».

Per la cinefila allieva del Centro Sperimentale e della scuola di cinema di Mosca qual è il film della vita?
«Paisà per come Rossellini raccontò diversità e ferite dell'Italia tutta da rifare del 1946, ma anche Scarpette Rosse di Powell e Pressburger: Vicky – come tante, troppe donne – è posta di fronte al dilemma drammatico tra amore e affermazione personale».

E lei di fronte a questo bivio si è mai trovata?
«No, frequento persone intelligenti, ma so che l'amore può farti perdere la libertà. Non mi è capitato, ma potrebbe capitare anche se... tendo a scegliere le cose sane della vita».

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