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Politecnico di Milano, Donatella Sciuto prima rettrice: «Il gender gap esiste ma si supera con azioni concrete»

Il messaggio: ragazze con le Stem si fa carriera

Donatella Sciuto, Retrice del Politecnico di Milano
Donatella Sciuto, Retrice del Politecnico di Milano
di Claudia Guasco
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 25 Gennaio 2023, 13:33 - Ultimo agg. : 26 Gennaio, 12:43 | 5 Minuti di Lettura

Poiché i numeri sono una parte fondamentale della vita di Donatella Sciuto, bisogna cominciare da qui.

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Al Politecnico di Milano le donne rappresentano meno del 30% dei suoi 47.000 studenti e 1.400 ricercatori. Restringendo il campo, lo squilibrio aumenta: a Ingegneria solo un iscritto su quattro è donna e il numero precipita sotto il 20% in corsi come meccanica e aerospaziale. «La consapevolezza del divario di genere è un primo passo al quale devono seguire azioni concrete. Costruire reti e aderire a cause comuni aumenta la nostra capacità di influenzare i decisori», afferma la professoressa Sciuto. Nata a Varese, 61 anni, madre francese e padre italiano, a 22 anni conquista il premio di più giovane laureata del PoliMi (Ingegneria elettronica), poi un dottorato all’Università del Colorado e un master in Bocconi. Da novembre è rettrice del Politecnico, prima donna dalla fondazione nel 1863. Particolare non irrilevante: ha sbaragliato la concorrenza, ovviamente composta da tre uomini, aggiudicandosi 892 voti contro i 433 del secondo classificato.

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Una bella sfida, professoressa Sciuto.

«Come prorettore, mi sono dedicata a una causa che considero centrale: sostenere la diversità e accrescere il ruolo delle donne all’interno dell’Ateneo. Per aiutarle a farsi strada nell’ambito delle tecnologie abbiamo progetti per i quali sono stati stanziati cinque milioni di euro nel triennio. Abbiamo un asilo nido gratuito e percorsi di autoaffermazione femminile, per un inserimento più efficace nel lavoro. Questo contribuisce a eliminare, fin dall’inizio, il gap salariale. Quando mi sono iscritta noi studentesse eravamo solo il 3%, ora il divario, seppur lentamente, si sta colmando anche tra i docenti. A fine 2021 le ordinarie erano il 23% contro il 32% dei colleghi».

Perché secondo lei le materie scientifiche hanno ancora un’accezione maschile?

«È indiscutibile che ingegneria e matematica siano percepite come difficili e poco attraenti, ma dove esistono potenziali pregiudizi i luoghi comuni la fanno da padrone. Spesso anche le brave studentesse si ritagliano un ruolo scontato, si tarpano un po’ le ali. L’ambito Stem è vittima di preconcetti inconsci. Albert Einstein diceva: “È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”. È un cambiamento culturale faticoso, ma inesorabile. Donne come l’astronauta Samantha Cristoforetti hanno acceso le luci sul nostro universo».

Per lei la scelta della facoltà è stata naturale? I suoi genitori l’hanno indirizzata?

«Mio padre è ingegnere, mia madre si occupa di diritti umani. Due mondi professionalmente separati. Entrambi però mi hanno sempre incoraggiato a essere curiosa, io poi ho scelto liberamente. Ingegneria perché è legata al mio desiderio di capire come funziona il mondo».

Che valore aggiunto danno le donne nei settori scientifici?

«Il valore ritengo consista più nella diversità, l’innovazione nasce quando si uniscono approcci diversi e sensibilità differenti alla soluzione dei problemi. Nel report Unesco su intelligenza artificiale e gender equality si mette in guardia sul fatto che gli algoritmi promuovono stereotipi di genere. È chiaro che, se sono realizzati dagli uomini, producono modelli maschili. Consiglio, per farsene un’idea, Coded Bias, documentario che indaga sui pregiudizi degli algoritmi scoperti dalla ricercatrice del Mit Joy Buolamwini. Racconta come un software di riconoscimento facciale funzionasse per tutti ma non per lei, perché il colore della sua pelle non era codificato. Estendendo l’esperimento al mondo femminile, possiamo dire che la mancanza delle donne nei gruppi di lavoro porta a creare soluzioni che vanno in un’unica direzione, che non è quella della parità di genere».

Si è mai sentita meno considerata perché donna?

«Ho lavorato molto nella ricerca a livello internazionale, ma non ho subito particolari discriminazioni. Mi è accaduto nell’ambiente accademico italiano perché ero la più giovane. Comunque le disparità esistono, impossibile negarlo».

Qual è l’aspetto che le piace di più del suo lavoro?

«La necessità di continuare a imparare e studiare. Ricominciare infinite volte senza paura di sbagliare, aiutare i giovani a crearsi le competenze per affrontare con sicurezza le grandi sfide».

Microsoft l’ha inserita tra le 50 donne più influenti nel mondo della tecnologia: come sfrutterà questa posizione?

«Dimostrando di essere la prova che anche le donne possono affrontare le materie scientifiche e fare carriera. Nel mio programma di candidatura ho citato una frase di Seneca: “Chi non vive per nessuno, non vive nemmeno per sé”».

Lei ha una figlia: perché nel nostro Paese si dà ancora per scontato che siano le mamme ad andare alle recite scolastiche e a parlare con gli insegnanti?

«Ammetto che ho fatto tutte queste cose, compreso accompagnarla agli impegni sportivi, cercando l’equilibrio tra lavoro e cura di mia figlia. Sicuramente il nostro senso di colpa fa la sua parte, le altre mamme non lavoravano, ero una mosca bianca. Ma resto convinta che un tempo di qualità sia meglio della quantità».

Ci sono delle donne alle quali si è ispirata?

«Direi di no. Ho messo insieme tutti i pezzi da sola».

Qual è il suo libro preferito?

«Il piccolo principe, per i suoi principi filosofici. L’ultimo che ho letto è un saggio di Nuccio Ordine, L’utilità dell’inutile. Insegna che non solo ciò che produce profitto è utile».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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