Design, la direttrice di Interni Gilda Bojardi: «In 70 anni la storia dello stile Made in Italy»

Il mensile festeggia sette decadi con una mostra diffusa a Milano. La direttrice, ideatrice del FuoriSalone «Oggi il “saper fare” delle aziende in Italia è riconosciuto nel mondo»

Design, la direttrice di Interni Gilda Bojardi: «In 70 anni la storia dello stile Made in Italy»
di Valeria Arnaldi
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Mercoledì 24 Aprile 2024, 11:53 - Ultimo aggiornamento: 25 Aprile, 07:47

Era il 1954 e, per la prima volta, arrivava in edicola Interni - all’epoca con il titolo La rivista dell’arredamento - mensile concepito per illustrare e valorizzare il design made in Italy, tra creatività e tecnica.

Sono passati settant’anni e, per celebrare l’anniversario, al FuoriSalone, in occasione della Design Week a Milano, ma oltre il suo calendario, fino al 28 aprile si potrà visitare la grande mostra Interni Cross Vision. Articolato in più sedi, l’iter spazia dall’Università degli Studi e Portrait Milano a Orto Botanico di Brera, Eataly Milano Smeraldo, Urban Up Unipol De Castillia 23 e, per la prima volta giunge all’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Un modo per ripercorrere la storia del mensile e l’evoluzione della cultura del progetto, tra architettura, design e arte, in un confronto su linguaggi e tempi che si fa stimolo alla riflessione sul Paese e sui nuovi orizzonti di ricerca e know-how. Il magazine, peraltro, da maggio, si regala una nuova veste editoriale, che, come annunciato dalla direttrice Gilda Bojardi, anche curatrice della mostra nonché ideatrice del FuoriSalone, sarà presentato a New York, dal 16 al 23 maggio, in occasione di NYCxDesign. Dalla storia, dunque, lo sguardo rivolto al futuro.

Gilda Bojardi - Foto di Massimo Sestini

Gilda Bojardi, Interni compie settant’anni, quanto ha influito la sua narrazione sull’evoluzione del design nei decenni?
«Ha documentato tutto quello che succedeva nel mondo di progetto, design, arredamento, gusto e lo ha interpretato, ossia ne ha offerto una lettura critica, promuovendo l'evoluzione del design italiano, come interior design, architettura, furniture design, insomma made in Italy.

Oggi, il saper fare delle industrie italiane è riconosciuto anche da designer internazionali che qui fanno realizzare le loro creazioni. È un fenomeno unico».

È in questo dialogo il cuore della mostra?
«L’evento è incentrato proprio sull’unicità del design italiano, sulla capacità di coniugare il processo industriale e l’arte della manifattura. Abbiamo voluto dare voce al pensiero polifonico, proponendo una serie di installazioni di progettisti di dodici nazionalità, che pongono in dialogo anche opposti come tecnologia e artigianato». 

Quali ad esempio?
«Toshiyuki Kita ha dedicato il suo intervento alla cultura millenaria dei manufatti in ceramica e legno. Patricia Urquiola si è concentrata su ricerca e sperimentazione nel cemento. Wu Bin ha portato in primo piano la natura, creando un giardino orientale fatto di fogli di carta. Alla Statale c’è un’installazione di Michele De Lucchi e Guido Scarabottolo che interpreta la storia delle sette decadi della rivista, è interessante vedere i cambiamenti ma anche la continuità. E così via. Le installazioni sono studiate per far riflettere su temi di grande attualità e sempre sul legame tra industria e capacità inventiva». 

L’idea è quella del confronto. 
«Sì, la contaminazione di saperi per costruire un mondo più bello e sostenibile. Milano è una sorta di palestra progettuale». 

È anche in quest’ottica che, nel 1990, ha ideato il FuoriSalone?
«Quell’anno non si sarebbe tenuto il Salone del Mobile, quindi pensai a qualcosa che potesse mostrare la vitalità dei progetti creativi in città, in modo da richiamare gli addetti ai lavori e anche il pubblico generico. L’effetto fu evidente: prima ancora dell’arrivo dei grandi investitori, mutò la percezione della città. Alcune zone, furono riqualificate, altre inventate di fatto, tramite una serie di poli di design e il recupero di officine in disuso». 

Come ha fatto? 
«Sono andata a sollecitare designer, architetti e giovani progettisti. All’epoca ero da sola e ho organizzato oltre cento eventi in più spazi, coinvolgendo settori diversi».

La città si è “ampliata”, dunque. 
«Sì, attraverso il recupero di spazi, si è allargata. Design è tutto ciò che ci circonda, noi con gli eventi volevamo mettere in evidenza sperimentazione, innovazione e tecnologia alla base del progetto, che si tratti di un’architettura o di un mobile. L’obiettivo era mostrare l’esistenza di un progetto diffuso in città. Abbiamo fatto scoprire anche ai residenti spazi e palazzi abitualmente chiusi». 

E i “confini” si ampliano ancora.
«Quest’anno, tra i partner ci sono il Padiglione Italia - Expo 2025 Osaka e Pesaro, capitale della cultura». 

L’invenzione del FuoriSalone le ha fatto conquistare l’Ambrogino d’Oro nel 2007 e poi il Compasso d’oro alla Carriera nel 2020.
«Sono importanti riconoscimenti che mi hanno resa molto felice ma, allo stesso tempo, sono stati un grande stimolo, mi spingono a fare sempre di più». 

Il modello del FuoriSalone è esportabile?
«Si tratta di coordinare più realtà, bisognerebbe trovare un terreno fertile. Milano ha tanti luoghi e, nel mondo, è sinonimo di design, ha numerose aziende nei dintorni e tanti showroom in città. Questo poi ha fatto sì che se ne aggiungessero altri di aziende di regioni vicine. Oggi molte realtà italiane hanno aperto a New York ma non sarebbe pensabile un evento diffuso in città. Così è anche a Londra. La morfologia di Milano aiuta». 

Cosa vede nel futuro del design?
«L’unione della creatività dei progettisti, anche internazionali, con le capacità di aziende di fare ricerca, e sperimentazione, ma anche di interpretare le proposte di architetti e designer. Credo che, per il made in Italy, originalità e ricerca siano i cardini per rimanere al primo posto».

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