Flash back. Barcellona, 12 ottobre 2024, Giulia Conti insieme a Margherita Porro, Maria Giubilei e Giulia Fava, ha appena conquistato per Luna Rossa la Puig Women America’s Cup.
Questa atleta, nata a Roma il 4 novembre 1985, tesserata con il Circolo Canottieri Aniene, che considera casa anche il lago di Garda, dopo quattro Olimpiadi in tre classi diverse, con le sue compagne ha portato all’Italia la prima America’s Cup al femminile della storia. In quella occasione aveva commentato: «Un momento storico importante ma è solo un punto di partenza. Un’occasione per dimostrare al mondo che le donne sono in grado di navigare, bene, su quel complesso tipo di barca che è l’AC 40». Aggiungendo che sperava nello step successivo: una donna su un AC75. Sono passati nove mesi e dalla bozza del Protocollo che dovrebbe disciplinare la 38° America’s Cup annunciata dai Kiwis a Napoli nel 2027, emerge l’auspicata rivoluzione: nell’equipaggio degli AC75, ridotto a sei velisti, che vede eliminati i quattro cycler (la produzione dell’energia dei quali viene sostituita da batterie) devono esserci una donna e un under 25. La prima volta di un obbligo del genere in 176 anni di storia del Trofeo. Per Giulia Conti la riduzione del gender gap nella vela professionistica è un tema sensibile. Anni fa con Francesca Clapcich si era inventata “Equal Sailing”, un progetto per dare opportunità alle migliori veliste di crescere professionalmente e far capire che le donne possono dire la loro in barca con gli uomini. Se è vero infatti che la forza fisica è diversa, è anche vero che ruoli come timoniere o flight - controller sono unisex.
Come giudica questa novità?
«In via di principio sono contraria alle quote rosa, le sento come una forzatura. Ma in casi specifici, come questo, bisogna passare da lì. É l’unico modo perché i team siano forzati a investire al 100% su una, anzi due donne, la sostituta, dovesse la titolare farsi o star male. Oggi solo così si ha la possibilità di salire a bordo. E a quel punto si accorgono che in barca ci sai andare, che sei brava. Ogni volta che mi hanno chiamata, mi hanno confermata. Questo obbligo modifica inoltre il “contorno”, nel senso che un uomo professionista che sale per la prima volta su una barca, se sbaglia, si considera che è la prima volta, che deve abituarsi, rodarsi. Per la donna no. Se fa uno sbaglio è perché è una donna. Lo stress è tanto. Lo so in prima persona. Un’ansia terribile, specie se hai un buon palmares. Da te, donna, ci si aspetta il risultato immediato. All’uomo viene dato tempo».
Quindi l’imposizione di quote rosa per farsi conoscere ed entrare nel giro?
«Sì. L’esempio classico è l’Ocean Race, il Giro del Mondo, che ha imposto una donna a bordo nelle passate edizioni. Francesca Clapcich ne ha fatte due, si è fatta vedere, conoscere e apprezzare e ora ha il previlegio di avere uno sponsor per fare il prossimo Vendée Globe (il Giro del Mondo in solitario senza scalo né assistenza, ndr)».
Un sogno che diventa realtà?
«Un segno di cambiamento dello status quo, di un inizio, di essere in qualche modo pioniere. Perché parliamo della vela dove girano i soldi, quella dei professionisti. Facile disquisire di parità di genere ai Giochi. Lì lavori per la gloria, per il metallo di una medaglia. Diverso è il caso dell’ America’s Cup, del Sail GP o dei circuiti in cui sei pagato. Oggi una ragazzina che comincia ha la percezione di non avere solo la vela olimpica come prospettiva, ma anche quella, un giorno, di potersi guadagnare da vivere con il “suo” sport. Ci vorrà tempo. Magari più edizioni di America’s Cup. Ma è un inizio».
Esiste parità di trattamento a livello economico tra uomini e donne nella vela professionistica?
«Beh, intanto partiamo da “equal opportunities”, poi tra qualche anno parleremo di “equal pay”… No, ancora non c’é, ma è anche giusto così, a causa della meno esperienza come professioniste. Per ora».
Nel team Luna Rossa?
«Non lo so, veramente. Tra noi non si parla di queste cose».
Lei conosce bene la realtà americana, differenze?
«Negli USA sono molto più aperti, pagano di più e tra uomo e donna c’è livellamento retributivo. Lì non sei uomo o donna, sei un sailor e basta».
Ingaggi in vista per l’America’s Cup?
«Come risposta un silenzio cortese. Di fatto, un classico enigmatico, “no comment”».
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