Diego Mingarelli (Diasen): «Marche terra di conquista? No, attiriamo gli investimenti esteri»

Diego Mingarelli (Diasen): «Marche terra di conquista? No, attiriamo gli investimenti esteri»
Diego Mingarelli (Diasen): «Marche terra di conquista? No, attiriamo gli investimenti esteri»
di Maria Cristina Benedetti
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Venerdì 4 Novembre 2022, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 10 Marzo, 12:46

Spariglia, Diego Mingarelli. «Le Marche terra di conquista? Il punto è che siamo in grado di attrarre investimenti esteri». Il marchigiano che, da Sassoferrato, alla guida della sua Diasen rivoluziona l’imprenditoria con l’edilizia green, ha una ferrea convinzione: «La piccola dimensione non è solo un ostacolo». 

 
Procediamo per ordine, cronologico: il Cantiere delle Marche diventa una proprietà austriaca; le vernici speciali della Ica Group di Civitanova sono ormai a stelle e strisce. Il mercato non dà tregua. 
«Il controcanto: la qualità e la creatività delle nostre aziende trovano spazio nel mondo. Sta a noi creare realtà sempre più competitive». 
Il rischio è che si tratti di un processo asimmetrico. A senso unico. Concorda? 
«In parte sì. Non accade il il corrispettivo perché le nostre piccole imprese, va ammesso, hanno elementi di fragilità. Sono meno forti sul fronte del credito, della finanza, quindi per loro è più difficile poter scommettere sulle acquisizioni. Vorrei citare la mia esperienza personale». 
Proceda.
«Vendo i miei prodotti innovativi in cinquanta Paesi in giro per il mondo. Ma prima di crescere per linee esterne mi sono dovuto concentrare sullo sviluppo di quelle interne. Ho fatto tutto da solo. È stato un percorso faticoso, in salita, ma, come vede, non impossibile».
Lei ne è la dimostrazione sul campo. La sua è una delle 100 eccellenze italiane della bioedilizia, tanto da essere inserita in più edizioni del prestigioso rapporto GreenItaly.
«Siamo una B Corp. Vantiamo una certificazione che identifica chi si impegna a rispettare determinati standard - performance, trasparenza e responsabilità - e chi opera in modo tale da ottimizzare il proprio impatto positivo verso i dipendenti, le comunità nelle quali opera e l’ambiente. Abbiamo sempre puntato sulla sostenibilità quando ancora non ne parlava nessuno».
Ripassiamo dal via: il pericolo di perdere i gioielli di famiglia è alto. Quanto? 
«Mi perdoni se mi ostino a voler vedere il positivo insito nella nostra storia». 
Insista pure.
«L’ossatura delle Marche è fatta di piccole fabbriche, flessibili, sensibili alla coesione, al rapporto diretto. Il successo è determinato dalla visione degli imprenditori e dalla qualità dei collaboratori. Insieme hanno un grande potenziale». 
La sua formula per spaziare in ogni angolo del pianeta consiste nelle nicchie di eccellenza. Giusto? 
«Esatto. Potremmo essere campioni del futuro, ma non sempre ne siamo consapevoli».
Colpa di chi? 
«Non cerco responsabili. Certo, andiamo supportati con infrastrutture efficienti, con un accesso agevole al credito. Alla riuscita di una missione concorrono sempre diversi fattori. Tuttavia, è il principio che mi sostiene, non parla solo il fatturato».
Torna a battere sulla questione dimensionale. 
«Mi ripeto: è uno dei parametri per definirci, ma non l’unico. Noi compriamo il sughero in Sardegna, lo lavoriamo con nostri brevetti a Sassoferrato, un piccolo centro del Fabrianese, per farne un componente strategico delle nostre biomalte e pitture per la bioedilizia. Siamo nati sostenibili, il tempo ci ha dato ragione. Il mondo anche».
Ridimensionato il teorema della terra di conquista, su cosa punta? 
«Sull’innovazione. Tanta. La sfida del futuro è tutta da giocare. Dobbiamo crederci».
 

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