Amedeo Ciccanti, da sindaco più giovane d'Italia a parlamentare: «Quando Forlani per non perdere spostò il figlio a Macerata»

Ciccanti, da sindaco più giovane d'Italia a parlamentare: «Quando Forlani per non perdere spostò il figlio a Macerata»
Ciccanti, da sindaco più giovane d'Italia a parlamentare: «Quando Forlani per non perdere spostò il figlio a Macerata»
di Maria Teresa Bianciardi
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Sabato 24 Febbraio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 26 Febbraio, 07:12

Amedeo Ciccanti si divide tra Roma ed Ascoli e, nonostante da circa dieci anni sia fuori dalle stanze dei bottoni della politica, non ha mai smesso di perseguire ideali e valori che hanno ispirato la Democrazia cristiana. «Parlo con i giovani, spesso mi chiedono consigli e li aiuto volentieri».

Ciccanti, se tornasse indietro?

«Rifarei esattamente quello che ho fatto. Nella vita non mi sono mai risparmiato: da giovane ho fatto tanti lavori, dal muratore alla scuola guida. Nessuno mi ha regalato niente».

Un passo indietro: era ottobre del 1987 quando è stato eletto sindaco di Ascoli. Aveva 37 anni, il primo cittadino più giovane dei Comuni capoluogo d’Italia.

«Ma soprattutto ho portato la Dc a conquistare la maggioranza assoluta del 53%, per la prima volta nel dopoguerra. Sono stato molto orgoglioso di questo successo».

Il record dell’età invece ad Ascoli è stato superato dall’attuale sindaco Fioravanti, che al momento dell’elezione di anni ne aveva 36.

«Già, mi ha superato. Però quando l’ho visto gli ho detto: “Io con la Dc ho fatto la mia parte, prova tu a far ottenere la maggioranza assoluta a Fratelli d’Italia”».

Bella sfida. Come quando nel 2001 si autocandidò a senatore mettendo in crisi Forza Italia, Alleanza nazionale e un po’ tutto il sistema della spartizione dei territori (e delle poltrone).

«È successo che iniziai a tappezzare i comuni della provincia di Ascoli, che comprendeva anche quelli passati poi a Fermo, con una mia foto e la scritta “Amedeo Ciccanti candidato al Senato”. Mi chiamarono Giulio Conti e Maurizio Bertucci (che vennero eletti alla Camera nella circoscrizione Marche, ndr) chiedendomi se fossi passato al centrosinistra. Risposi di no e scoppiò il caos».

Era in quota Cdu, ovviamente sempre all’ombra dello scudocrociato.

«A un certo punto fui convocato a Roma da Arnaldo Forlani. Con quella mossa mi ero messo di traverso alla candidatura del figlio Alessandro».

Cosa è successo?

«La situazione era delicata ma io gli parlai senza remore e gli dissi chiaro e tondo che con la mia candidatura ad Ascoli, il figlio non avrebbe avuto speranza di vincere. Gli suggerii invece di spostare la sfida nel collegio di Macerata: era una scelta rischiosa, ma esisteva un margine di vittoria. Ricordo ancora lo sguardo perplesso di Forlani: un attimo di riflessione, poi chiamò un suo fedelissimo a cui spiegai la mia strategia. Dopo una settimana mi richiamò e mi disse: “Si può fare”».

La tornata elettorale si concluse con la doppia nomina a senatore.

«Esatto.

La mia e quella di Alessandro. È la prima volta che racconto questo aneddoto, ma a quel tempo capii di avere contribuito ad un grande successo per il mio partito».

Quindi è arrivata la seconda legislatura in Senato e un’altra alla Camera.

«Il mio impegno in Parlamento è sempre stato totalizzante, avevo una percentuale altissima di presenze, partecipavo attivamente e soprattutto mi impegnavo nelle varie Commissioni al Bilancio. Un pallino che mi consentiva di tenere sotto controllo i conti dei vari ministeri».

Retaggi da amministratore di Ascoli?

«Anche. Nel tempo in cui sono stato sindaco ho accelerato la trasformazione della città attraverso progetti di sistema. In due anni e mezzo ho recupero il centro e messo in piedi quello che si è realizzato nei dieci anni successivi, come i due grandi centri commerciali e la viabilità».

Nel 2013 si è concluso un lungo capitolo di politica attiva. E dopo?

«Mi sono preso un anno sabbatico. Avevo bisogno di staccare e di dedicarmi alla famiglia, alle mie due figlie. Poi sono stato risucchiato a Roma dove ho avviato una società di mediazione creditizia, che mi ha dato abbastanza soddisfazioni».

Le manca la politica?

«In realtà non mi sono mai staccato totalmente visto che anche oggi c’è chi mi chiede consigli su come muoversi. Ma credo di avere dato tutto quello che potevo, senza mai risparmiarmi».

E lo scudocrociato?

«Quello ce l’ho nel cuore. Un’ispirazione cristiana e di alti valori che dovrebbero continuare ad essere tramandati con forza e perseveranza. Purtroppo adesso è diventato un simbolo da contendersi attraverso battaglie legali. Che peccato».

Quali sono stati i leader della Democrazia che ha seguito e a cui si è ispirato durante la sua militanza nel partito?

«Sicuramente Benigno Zaccagnini dal punto di vista motivazionale: è stato un grande leader in un momento di crisi del partito. Poi Ciriaco De Mita, con il suo pensiero politico. Come avrà notato ero distante dalla corrente forlaniana, essendo più spostato a sinistra».

I suoi obiettivi a lungo termine?

«Mio zio era un frate leader in Italia per la diffusione dell’esperanto a livello mondiale. Gli promisi che avrei scritto un libro. Lo farò».

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