Anna Rita Calavalle sopravvissuta al tentato omicidio per mano del fidanzato: «Sparò al viso, ma ce l’ho fatta. Sono furiosa, nulla è cambiato»

Anna Rita Calavalle sopravvissuta al tentato omicidio per mano del fidanzato: «Sparò al viso»
Anna Rita Calavalle sopravvissuta al tentato omicidio per mano del fidanzato: «Sparò al viso»
di Véronique Angeletti
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Martedì 21 Novembre 2023, 02:30 - Ultimo aggiornamento: 22 Novembre, 14:59

Quel maledetto 29 dicembre 1981, l’urbinate Anna Rita Calavalle, insegnante di educazione fisica, non se lo scorderà mai. Aveva 25 anni quando il suo fidanzato che voleva lasciare le sparò un colpo di fucile al volto e poi si suicidò. Oggi fa parte della commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio e la violenza di genere istituita il 17 novembre scorso e va nelle scuole a raccontare la sua storia. Il suo scopo: innescare un cambiamento.
Quando sente una notizia di femminicidio cosa pensa?
«Risento l’angoscia che per anni ha condizionato la mia vita e poi un grande dolore, una grande rabbia. Non nei confronti di chi lo ha compiuto ma di chi non ha fatto niente per impedirlo».

 
Riesce a raccontare cosa le è successo?
«Adesso sì. Per anni non ho voluto parlarne salvo con i miei studenti quando m’interrogavano su cosa mi fosse successo. Perché si vede che ho subito una cosa cruente. Mi sono buttata sul lavoro che adoro. Poi la mia concittadina Lucia Annibali, sfregiata dall’acido, nel suo libro ha ricordato la mia storia e a quel punto ho voluto anch’io dare un mio contributo al cambiamento». 
Cosa vuole condividere?
«Lui si chiamava Gregorio, aveva 23 anni ed era dj in una radio privata. Io ne avevo 25 ed ero nella federazione ginnastica. Non sapevo che era in terapia per dipendenza dalle droghe. Era in conflitto con la sua famiglia, non lavorava e ho chiesto una pausa. Lui mi ha attirato a casa sua e mi ha sparato». 
Cosa ricorda?
«Il fucile non l’ho visto. Sono volata in aria, mi sono ritrovata contro la porta e su di me tanto sangue. Ho sentito che avevo un buco in faccia. Gli ho detto: che hai fatto? E lui: così non ti potrà avere più nessuno».
Poi cos’è successo?
«Gli chiesi di chiamare un’ambulanza ma mi rispose di no a meno che non avessi detto che era stato un incidente. A un certo punto si è allontanato. Ho pensato: va a prendere una cartuccia e torna a finirmi, così sono scappata giù per le scale. Lui si è suicidato. Mi hanno detto che è così che reagisce chi è in pericolo: studia come scappare e si dimentica del dolore». 
Quanto tempo ci hai messo per recuperare? 
«Tantissimo. Una ventina di interventi, con sei mesi tra l’uno e l’altro».
Intorno a lei come hanno reagito? 
«Ci sono state delle riflessioni assurde. Del tipo: “ti rendi conto quanto ti amava”. Ma quello non è amore, è possesso, è gelosia. Adoro insegnare e quindi parlare con i giovani e cerco di fare capire che non succede solo agli altri, che ci sono segnali che vanno interpretati, che i ragazzi devono avere dei modelli positivi da imitare. È per quello che, quando c’è una notizia di femminicidio sono furiosa: perché non si è fatto nulla per impedirlo». 
Cosa suggerisce?
«Dobbiamo aiutare i ragazzi a capire quanto è importante conoscere sé stessi, capire cosa abbiamo dentro, i nostri sentimenti attraverso la lettura e il confronto. Saper chiamare per nome quello che proviamo è già un passo importante».
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