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Il primo a parlarne fu il grande scrittore di fantascienza Isaac Asimov nel 1941.
Una centrale elettrica nello spazio, che raccoglie l’energia del sole per trasmetterla alla terra: dunque, una fornitura che si eaurirà solo quando il sole si spegnerà, vale a dire mai o comunque in un tempo lungo molte ere. Un concetto che poi è stato studiato dalla scienza nel corso dei decenni e preso seriamente in considerazione man mano che la realtà dell’inquinamento da combustibili fossili diventava più evidente ed innegabile. Ma c’è sempre stato un ostacolo all’ipotesi di costruire vere e proprie centrali fotovoltaiche in cielo: il costo eccessivo del trasporto in orbita dei pannelli solari che nell’immaginario di Asimov dovrebbero essere molto pesanti. E poi, come trasferire l’energia accumulata dalla centrale spaziale fin sulla terra in modo sicuro? E come trasmetterla dove è necessaria?
LA SPERIMENTAZIONE
Una squadra di tre scienziati, che lavora da tempo a questo progetto, è molto vicina alla soluzione, anzi ha già in corso un esperimento che potrebbe entro poche settimane o al massimo qualche mese confermarci che la strada dello spazio è possibile e che ci sono forti speranze che le prossime generazioni potranno godere di una quantità di energia infinita e non inquinante. Un progetto, in poche parole, che potrebbe cambiare le sorti del mondo. Tre sono gli scienziati che a gennaio hanno lanciato da Cape Canaveral il prototipo “Space Solar Power Demonstrator”, e fra questi c’è Sergio Pellegrino, uno dei massimi esperti di strutture spaziali pieghevoli, ultrasottili e ultraleggere. Dopo la laurea in ingegneria a Napoli, nel 1982, Pellegrino è partito per Cambridge, poi per Stanford e Harvard e infine per Caltech, dove insegna Ingegneria aerospaziale e civile mentre contemporaneamente è ricercatore senior presso il Jet Propulsion Laboratory di Pasadena.
DIECI ANNI DA GIGANTI
Nel progetto “Space Solar Power”, Pellegrino lavora da dieci anni con i colleghi Harry Atwater e Ali Hajimiri.
SOLO TECNOLOGIE NUOVE
L’emozione e l’ansia sono ovviamente enormi: «Lo sviluppo di tecnologie completamente nuove è intrinsecamente un processo rischioso» ammette Pellegrino. «Ma devono essere davvero completamente nuove», aggiunge lo scienziato italiano, perché quella sarà la chiave per capire il potenziale rivoluzionario di questo esperimento. A sua volta il professor Hajimiri spiega: «Quando sei nello spazio, rispetto al fotovoltaico a terra, c’è da 8 a 9 volte più potenza perché non hai il giorno e la notte, non hai le stagioni, non hai le nuvole». Per questo è facile previsione che lo Space Solar Power Project «rivoluzionerà la natura dell’energia e l’accesso ad essa, che diventerà onnipresente, distribuibile ovunque sia necessaria, anche in luoghi che attualmente non hanno accesso a un’alimentazione affidabile».
LA RIVISTA POPOLARE
L’intero progetto è stato finanziato privatamente, dal filantropo miliardario Donald Bren, senza partecipazione federale. Bren è al 112esimo posto fra gli uomini più ricchi della terra. Nel 2011 lesse un articolo su una rivista popolare, che raccontava del sogno di sviluppare una tecnologia in grado di generare energia solare nello spazio e di riportarla sulla Terra. Fu lui a mettersi in contatto con il California Institute of Technology, Caltech, e a offrire 100 milioni di dollari per tentare l’esperimento: «L’iniziativa di Bren è davvero straordinaria – dice Atwater, uno dei tre professori a guida del progetto – perché solo 20 anni fa un progetto del genere sarebbe stato finanziato tutto dal governo».
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