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URBINO - A Urbino, quel tempio rinascimentale laico che è il Palazzo Ducale, “palazzo in forma di città”, da ieri è porta di accesso alla Città di Dio. Il prodigio si compie con la mostra “Città di Dio. Città degli uomini. Architetture dantesche e utopie urbane”. Inaugurata ieri dal direttore della Galleria Nazionale delle Marche, Luigi Gallo, che l’ha curata con l’architetto Luca Molinari, nasce dal proposito di celebrare l’anno dantesco, con l’esposizione, per la prima volta integrale, delle 22 tavole del Danteum.
Si tratta dell’edificio commissionato da Mussolini, alla fine degli anni ‘30 del secolo scorso, agli architetti Pietro Lingeri e Giuseppe Terragni, per rappresentare un memoriale della Divina Commedia. Pensato per via dei Fori Imperiali a Roma, non è mai stato realizzato, a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. «È stata per me vivissima l’emozione nell’aprire i vecchi contenitori di balza, in cui per anni i disegni sono stati conservati, gli stessi con cui erano stati portati al duce al Palazzo Venezia».
Ed è difatti la celeberrima tavola della “Città ideale”, che risale alla fine del ‘400, il cuore del percorso espositivo, il punto di fuga verso cui sembrano convergere le linee, reali e ideali, dei disegni allineati nell’efficace allestimento di legno chiaro. L’impronta marcata di architettura razionalista del progetto, in certe tavole esaltata dagli interventi pittorici di Mario Sironi, trova nella tavola urbinate, attribuita al Laurana, una sorta di impronta ispiratrice. Scrive Luca Molinari che nella “porta socchiusa del tempietto, al centro dell’asse prospettico... possiamo immaginare il confine ideale tra il mondo terreno e quello del sacro, tra l’ideale e il materiale, così come lo stesso Dante nella sua Commedia aveva magistralmente tradotto attraverso la costruzione di un mondo visionario, utopia e proiezione terrena di un’interpretazione sublime del Sacro”.
Alla stessa maniera, i disegni di Lingeri e Terragni ci rivelano, in un edificio a forma di parallelepipedo, dove tutte le proporzioni rispondono al rettangolo aureo, la capacità di fare di una costruzione la metafora del viaggio dantesco nel mondo ultraterreno. Dal portico colonnato, la “selva oscura”, si scende nella sala dell’Inferno, da cui si sale, in un percorso a spirale, verso il Purgatorio, per approdare in quella meraviglia che sarebbe stata la sala del Paradiso. Colonne di cristallo elevate verso un soffitto trasparente, che permettesse al visitatore di “riveder le stelle”.
“Ut architectura poiesis”: parafrasando Orazio, così Luigi Gallo sigla la mostra, che rende omaggio alla capacità di Dante di creare spazi virtuali, con la poesia. Altra poesia in forme architettoniche aspetta poi il visitatore nella seconda ala della mostra: un universo di idee e colori, creato dalle opere che sono state realizzate da cento architetti italiani, seguendo le suggestioni di Dante e della Commedia. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico