Acqua Aria Terra Fuoco, gli elementi naturali si fanno arte alla Galleria Papini di Ancona

L'allestimento della mostra “Acqua Aria Terra Fuoco” alla Galleria Papini di Ancona
ANCONA - Nebbia fitta, nell'aria e sulla terra. Il grigio del mare d'inverno. Poi squarci di fuoco. Non a caso s'intitola ai quattro...

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ANCONA - Nebbia fitta, nell'aria e sulla terra. Il grigio del mare d'inverno. Poi squarci di fuoco. Non a caso s'intitola ai quattro elementi, “Acqua Aria Terra Fuoco”, la mostra collettiva che la Galleria Papini di Ancona inaugura sabato, dopo la presentazione, alle 17,30, nello showroom dell'architetto Ribighini.

 

 

Ventisette artisti, iscritti all'associazione culturale di via Bernabei, presentano opere recenti, realizzate con le tecniche più diverse. A voler rintracciare un denominatore comune, il visitatore non potrà fare a meno di riconoscere i colori lividi, ma anche i rossi, della stagione autunnale, le cupe foschie della campagna invernale, accanto agli azzurri sognanti della notte. Prevale una malinconia pensosa, cui c'è chi, come Bruno Marchi, reagisce con pennellate sanguigne. Lì accanto, l'allarmante “Picnic proibiti” di Fabio Paolinelli ci ricorda che per primi gli artisti registrano l'umore dei tempi. Il cielo, nei panorami di Giorgio Occhipinti, di Nunzia Palumbo, di Tiziana Torcoletti, grava pesante sulla natura. Una pallida luna si affaccia sulla danza di tre Grazie, nel notturno di Lucia Lacopo, e una nave, nel piccolo dipinto di Carlo Cecchi, vaga nel grigio metallico tra iceberg elettrici.
Un tronco snello, non lontano, sta perdendo le sue foglie d'oro: Cristina Gherlantini rappresenta così la solitudine, la stessa che induce la figura di Sandra Tavoloni a ripiegarsi su se stessa. Se anche di giorno le auto, rappresentate nella veduta di via XXIX settembre da Maurizio Azzoguidi, hanno le luci accese, è perché la giornata luminosa, che brilla sul campanile del Sacramento, qui davanti al porto si tinge d'ombra. Non viviamo tempi rassicuranti. Per questo, ci sembrano pensosi gli occhi della donna raffigurata in una composizione di Patrizia Calovini, come quelli del ritratto a matita di Agnese Oberto, e della femmina triste, a carboncino, di Rodrigo Blanco. E appare chiaro perché la rosa, icona di Anna Maria Alessandrini, nel suo dipinto appaia sgualcita, nel suo trionfo di petali, e racchiusa, quasi reclina, in una scatola scura. Perché piovono lacrime blu sui visi di Gaston, perché piange anche l'uomo di Mimma Leonori?
La reclusione, i limiti della libertà individuale, indotti dalla pandemia, e un senso claustrofobico emanano anche dalle due sculture, di Francesco Lozzi e di Claudio Segattini, dalle opere materiche di Valerio Valeri e di Walter Paoletti, dalla visione distopica di Francesco Colonnelli. E non c'è scampo dal mare per i naufraghi di Vincenzo Verderosa, per la donna africana di Doriana Carbonetti, per la nave al largo di Silvano Sangiorgi. Quel mare, che nel quadro di Leonardo Cemak rovescia le sue ondate invernali sulla battigia.


Poi, all'improvviso si accende il cuore rosso sull'abito giallo, chiassoso, della donna raffigurata da Phavakira, e i suoi capelli azzurri si perdono in un cielo ventoso. I suoi occhi spalancati assomigliano ai nostri, che guardano da sopra la mascherina questa bella collettiva, testimonianza allarmata dei tempi. Da troppo lontano ci arrivano i gridi festosi dei ragazzi che, nella china di Nicola Guerri, si tuffano dagli scogli del Passetto. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico