Difficile andare a Isola del Piano e non trasformare il viaggio in un pellegrinaggio a Gino Girolomoni. Perché qui, alle porte di Urbino, lasciato il Metauro sulla...
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Il paesaggio
Guardate quel campo, che interrompe gli alberi della foresta delle Cesane che la rete ci ricorda essere il giardino botanico del Montefeltro. Sulla terra, si vedono i solchi orizzontali. È il segno del ritorno alla aratura con gli animali: quando sono arrivati i trattori, infatti, si è lasciato il metodo tradizionale di chi spingeva i buoi e procedeva placido da destra a sinistra, perché i trattori, andando in orizzontale, si strabaltavano. Da qui le strisce verticali sul terreno che contraddistinguono l’agricoltura moderna. Guardate anche le poche vigne ai piedi delle quali non si vede il giallo effetto del glifosato; qui è tutto verde, zappa e favino. Anche i campi di grano, ribelle al vento e molto alto: tutto attorno ci sono i fiori a contenerne l’impeto. Insomma, il biologico non è tanto un tipo di cibo: è un sistema di vita, alimentato dalla terra, che rispettandola da essa trae nutrimento. Non solo spirituale, ma anche materiale: la terra può e deve garantire un reddito dignitoso a chi la lavora.
L’incendio
Di foresta, in realtà, ne è andato a fuoco, l’anno scorso, un gran tratto, e gli scheletri neri degli alberi ricordano quale follia possa essere distruggere la natura. Ma, sicuramente, da qui si può partire per un’escursione alla scoperta del territorio. La signora che saluta all’imbocco dello stradello raccomanda di stare attenti alle vipere. I sentieri si trovano su pesarotrekking.it e un po’ meno tra gli alberi visto che la segnaletica avrebbe bisogno di un po’ di manutenzione. Né gli alberi sono di particolare pregio autoctono, sebbene si tratti del «catalogo dal vivo di conifere mondiali»: sono il frutto del rimboschimento con i magazzini della Forestale, quando non si andava tanto per il sottile. È accaduto, per esempio, anche sul Monte Conero.
La passeggiata però, tra il verde, è bella, gli scorci vagano dal Conero ad Urbino, in un silenzio interrotto solo dal verso di un rapace. Qui è di casa il falco, ma quella che, lasciati i torricini di Federico da Montefeltro, volge verso il mare, sembra proprio un’aquila. È ora di lasciare il bosco e scendere: nell’ordine si trovano il pastificio, il monastero e la locanda, tutti nel segno di Girolomoni. Di domenica, solo la locanda è aperta: d’altronde, il settimo giorno si riposa, e nell’azienda non si lavora. Alla locanda, invece, si mangia, eccome se si mangia. Anche bene.
Il monastero di Montebello è (al presente) il cuore pulsante della vita e dell’attività di Girolomoni. Qui vennero a confrontarsi Sergio Quinzio, Guido Ceronetti, Paolo Volponi, Carlo Bo, anche ora è luogo di incontri e manifestazioni culturali. Poco distante, il museo etnografico, che racconta la storia di questi luoghi.
Scendendo in paese, si possono anche visitare l’ex chiesa dell’Annunziata - dove ci sono affreschi di cui uno attribuito a Giovanni Santi, padre di Raffaello -, e Castelgagliardo, antico borgo fortificato di cui restano la chiesa con annessa canonica, un’abitazione privata e la cinta muraria duecentesca. Poi, è tempo di tornare.
«Mangiare è fraternità, semplicità e compagnia»
«Mangiare non è soltanto trasformare e cuocere il cibo: è dono, spiritualità, amicizia, fraternità, bellezza, calore, colore, sapienza, profumo, semplicità, compagnia». Parole di Gino Girolomoni, che ad Isola del Piano vivono nel concreto. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico