Rosina, la staffetta vestita di rosso colonna della Resistenza marchigiana

Rosina Frulla
Fino alla fine dei suoi giorni si è vestita di rosso, il colore che amava e a cui ha dato tutta sé stessa nella sua lunga e avventurosa vita: la pesarese Rosina...

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Fino alla fine dei suoi giorni si è vestita di rosso, il colore che amava e a cui ha dato tutta sé stessa nella sua lunga e avventurosa vita: la pesarese Rosina Frulla fu un’appassionata partigiana e fece parte del nucleo storico del movimento femminile, da cui nacque l’Unione Donne Italiane. In una video intervista del 2014, raccontava ancora con orgoglio la sua disobbedienza al regime fascista: dimostrava molto meno della sua età e spesso le venivano perdonate omissioni di rispetto verso il duce. Aveva sempre il pepe in tasca ed una volta lo lanciò sul pubblico durante un comizio fascista, mentre in un’altra occasione, anziché fare il saluto romano al ritratto di Mussolini, lo staccò dalla parete mandandolo in frantumi. 


Passionaria e scaltra
Passionaria e furba, Rosina era staffetta partigiana e le sue avventure furono innumerevoli: raccontava spesso di come, sorpresa con un bastone con scritte incise che inneggiavano ai partigiani, si difese con semplicità dicendo che lei era analfabeta e che lo aveva trovato per strada. I fascisti le ruppero il bastone: «L’avevo fatto io quello e ne ho rifatto subito un altro». La sua nascita, in una famiglia di umili origini con un padre morto giovanissimo, la portò a lavorare già dall’età di otto anni e mezzo: prima “a servizio”, poi in filanda e alla fine nella refezione scolastica. Fu decisiva, per la sua formazione e per i suoi ideali, la vicinanza con la famiglia di Luigi Fabi che diventò quasi una figura paterna per Rosina e il fratello, e li coinvolse attivamente nella resistenza. Lavorando nella refezione scolastica, Rosina riusciva a portare viveri ai soldati italiani, prigionieri dei tedeschi. A soli 17 anni era già una staffetta dei partigiani: si muoveva a piedi o con una bicicletta senza copertoni, con cui trasportava messaggi ed armi. Non raccontava alla madre quello che faceva “lei non sapeva tenere la bocca chiusa”. Partecipava a riunioni clandestine che si svolgevano in chiesa dove, fingendo di pregare, venivano pianificati piani ed azioni. 

La vita nella Resistenza
Per la giovanissima Rosina, la Resistenza fu un’esperienza importante che le permise quell’emancipazione che non aveva potuto studiare sui libri. Fece parte dei gruppi di difesa della donna, nucleo storico del movimento femminile del dopoguerra da cui si formò l’Udi. La sua onestà e la sua purezza d’animo erano valori profondi che mantenne per tutta la vita, come la fede per i suoi ideali. Quando decise di sposarsi con Ferruccio Sorbini, incontrato durante la Resistenza, il prete le chiese di abbandonare il partito comunista. Fu così che contrasse uno dei primi matrimoni civili, uno scandalo per quei tempi, ma fu una cerimonia che non ebbe nulla da invidiare alla solennità del rito religioso. L’unione con Ferruccio fu lunga e felice: nacquero due figli che hanno ricevuto un’eredità morale ricca di valori e ideali sinceri. Suo figlio Sauro ne traccia orgogliosamente un profilo carico di affetto e rispetto.

Intensa e sofferta
«La sua è stata una vita intensa e sofferta, piena di sacrifici. Ciò che mi colpiva sempre quando parlava degli acciacchi dell’età, era quando diceva: “Nonostante tutto non vorrei tornare indietro, non vorrei tornare giovane, perché da giovane stavo molto peggio, vivevo in una miseria tremenda”. Non è facile rendere a parole il senso di giustizia, di onestà, di libertà che lei incarnava e che in lei erano innati: non ha frequentato scuole o università, ma avrebbe potuto insegnare quelle virtù, anche solo con l’esempio della propria vita. Sapeva di essere nel giusto, non aveva soggezioni di sorta».

Una donna giusta

Era una donna giusta e, in proposito, Rosina è stata scelta da una classe di studenti di Ferrara, che ne ha raccontato la storia, per il riconoscimento da parte della Libera Università di Alcatraz (fondata e diretta da Jacopo Fo) con l’assegnazione di un posto lungo il Viale delle Giuste, avvenuto il 12 marzo scorso. Il viale, un percorso di circa 1500 metri con sculture dedicate a 40 donne all’interno del Parco Museo di Alcatraz, è dedicato alle donne che si sono sacrificate per la libertà altrui e che hanno combattuto contro ingiustizie e soprusi. Ogni 8 marzo, finché le è stato possibile, convocava le amiche a casa per parlare delle problematiche femminili, dedicando loro una sua poesia. Nonostante il suo impegno sociale, ha regalato ai suoi figli, ai suoi nipoti e a suo marito tanto amore e attenzioni: «Standole vicino – chiosa Sauro - ho imparato a capire le bellissime parole con cui rispondeva a chi le chiedeva se avesse mai avuto paura: “Se lotti per la libertà, non hai paura, mai!”»  Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico