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PESARO - Sul tavolo dei sindacati arrivano due richieste al giorno dalle aziende costrette ad attivare la cassa integrazione per i dipendenti, si aspettano i numeri delle ore autorizzate dall’Inps, ma il ricorso annunciato agli ammortizzatori sociali sarà di massa. E se lo stipendio scende al 70% le famiglie con una sola fonte di reddito o pagano le bollette o fanno la spesa. Insieme alle attività anche i posti di lavoro sono a rischio.
La morsa sempre più stretta dei costi di luce e gas è una minaccia per la tenuta dell’occupazione in tutta la provincia, dove i sindacati registrano un calo della produzione di circa il 20% rispetto allo scorso anno, che è stato però un periodo di profitti più alti drogato dal rimbalzo post Covid. I settori che soffrono maggiormente del caro energia sono quelli che utilizzano i forni: gomma e plastica, vetro, metalmeccanica. E in generale le produzioni di massa, colpite dalla discesa in picchiata dei consumi.
In provincia le aziende meno strutturate in campo metalmeccanico sono già in piena crisi, mentre le imprese con le spalle larghe riescono a resistere meglio alla emergenza che non è solo energetica, ma anche legata alla inflazione e alla difficoltà di contrarre prestiti delle banche. «C’è una sorta di tesoretto al quale le aziende meglio organizzate attingono per fronteggiare questa prima ondata di aumenti di gas e luce - fa notare il segretario Cgil Pesaro Urbino -, mi riferisco agli utili di cui le imprese hanno goduto nel rimbalzo post Covid. Se l’emergenza energetica dovesse prolungarsi, nonostante le richieste degli ammortizzatori sociali per tutelare chi è rimasto senza occupazione, le imprese saranno costrette a ridurre la produzione e tagliare i giorni di lavoro, rischiando di andare fuori mercato».
E pone l’accento proprio sulla concorrenza delle aziende asiatiche emergenti «che diventano pericolose - sottolinea Rossini -, sono realtà dove il costo dell’energia non è cresciuto come da noi e che hanno sistemi di approvvigionamento diversificati. Finora abbiamo tenuto puntando sul rapporto qualità-prezzo, ma adesso si rischia di perdere utili consistenti». Innegabili sono inoltre gli scarsi investimenti nelle fonti alternative. Pensa ai pannelli fotovoltaici che spiccano a Chiusa di Ginestreto, il segretario, «troppo pochi per garantire un’autonomia sul piano energetico, si sono mossi i grandi imprenditori, ma le altre aziende restano indietro». È scarso anche l’impiego di capitali in macchinari meno energivori, perché le «nostre aziende avrebbero bisogno di accedere più agevolmente al credito, ma le principali banche locali sono saltate». La prospettiva all’orizzonte è il «ricorso massiccio agli ammortizzatori sociali, dalla cassa integrazione al fondo salariale - preannuncia Rossini -, a farne le spese saranno le famiglie monoreddito che, con gli stipendi decurtati anche dal caro energia e dall’inflazione, entreranno nella soglia di povertà. O si pagano le bollette, o si compra il mangiare di tutti i giorni».
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