Imprenditore s’improvvisa 007 e spia 10 dipendenti a Cartoceto: adesso lo aspetta il processo

Il palazzo di Giustizia di Pesaro
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CARTOCETO -  Caporalato hi-tech, il datore di lavoro controllava i suoi operai direttamente dal cellulare. Una sorte di 007 improvvisato che però è finito nei guai. Ieri l’ udienza davanti al giudice e il suo rinvio a giudizio. L’imputato è un uomo titolare di un’azienda di manutenzione di impianti di refrigerazione di Cartoceto accusato di sfruttamento del lavoro. 

 

Le accuse


Gli vengono contestate assunzioni contrattualizzate con qualifiche inferiori rispetto alle mansioni svolte, orari allungati o riposi non goduti e compensi inferiori rispetto ai contratti nazionali di metalmeccanica. Ma soprattutto gli vengono contestate condizioni di lavoro degradanti e metodi di sorveglianza imposti nei confronti dei dipendenti. Secondo l’accusa avrebbe collegato il suo telefono cellulare all’impianto d’allarmeattivando un meccanismo per il quale all’ingresso e all’uscita dei dipendenti dal capannone, l’impianto avrebbe inviato un sms, con un codice per ogni lavoratore, sul telefonino del titolare. Metodo di cui i diretti interessati erano ovviamente all’oscuro. Una sorta di 007 del lavoro che avrebbe quindi esercitato un controllo oltre il consentito. E che soprattutto è contro la legge. 


Uno sfruttamento a cui non si sarebbero potuti ribellare, perché di quello stipendio, anche se minimo, non avrebbero potuto fare a meno. Per vivere e mantenere se stessi e le proprie famiglie. Il Gup ha accolto la richiesta della procura e lo ha rinviato a giudizio per sfruttamento del lavoro. Dieci sarebbero gli operai vittime del presunto “caporale”. Ma solo uno ha deciso di costituirsi parte civile attraverso l’avvocato Giulia De Luca, per avere giustizia. Ha chiesto un risarcimento danni di 15mila euro. Poi un’altra presunta vittima che ha chiesto 10 mila euro di risarcimento, da cui sarebbe partita la denuncia.


Ora si entrerà nel vivo del processo. Secondo il capo di imputazione, in quell’azienda si lavorava in condizioni degradanti, ma secondo la legge illegali. Ore di attività e di straordinario oltre i limiti di legge e non pagati come stabilito dal contratto collettivo. «Inquadrava i lavoratori ad un livello inferiore rispetto alle mansioni effettivamente svolte – scrive l’accusa - con la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale. Il tutto approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, dovute alle loro precarie condizioni economiche».

 

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Corriere Adriatico