Le scarpe Made in Marche rafforzano le rotte su Germania, Usa e Francia. Si cercano alternative alle vendite da 100 milioni in Ucraina e Russia

Francesco Acquaroli, presidente della Regione Marche, al Micam
MILANO - Trovare uno o più mercati capaci di sostituire Russia e Ucraina. A partire dal salone Micam, che è iniziato ieri a Rho Milano. È l’obiettivo...

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MILANO - Trovare uno o più mercati capaci di sostituire Russia e Ucraina. A partire dal salone Micam, che è iniziato ieri a Rho Milano. È l’obiettivo della scarpa marchigiana che dopo lo scivolone del 2014 (con l’invasione della Crimea da parte della Russia), oggi è di nuovo ripiombata nel dramma con il conflitto ucraino, che sta avendo conseguenze ben diverse e peggiori rispetto a 8 anni fa. In gioco ci sono circa 100 milioni di euro di export tra Mosca e Kiev.

 

Le molte aziende calzaturiere marchigiane che svolgono attività di subfornitura risentiranno marginalmente della situazione. Per i calzaturifici che invece hanno un brand proprio, la Russia era un importante mercato di sbocco che generava spesso oltre la metà delle vendite. 


La stagione
E se ristori e agevolazioni possono rappresentare un salvagente nell’immediato, pensare alla prossima stagione senza i clienti russi è davvero dura. La Turchia potrebbe rappresentare un hub per collegare fornitori marchigiani e clienti russi ma come Paese già ben inserito nel mercato russo e molto interessato a sostituire i prodotti europei nei punti vendita locali, non sembra disposto a svolgere questo ruolo. Trovare nuove rotte per le scarpe marchigiane è molto complicato per le piccole aziende locali, prive di un brand e in una fase in cui, con la pandemia, i buyer sono poco inclini a scommettere su marchi nuovi, preferendo affidarsi a brand collaudati e di sicuro affidamento. Altro aspetto è che per conquistare mercati nuovi occorre investire e, oggettivamente, dopo la crisi e dopo la pandemia, le aziende sono spolpate di liquidità e non hanno molte risorse da spendere. E avrebbero bisogno di risultati immediati che spesso non arrivano. 
I tre mercati che tirano in questo momento sono Cina, Usa e online e tutti e tre sono difficilmente accessibili, per motivi diversi, alle Pmi marchigiane. Una strategia percorribile sarebbe quella di crescere poco in tutte le destinazioni dell’export. A partire dall’Europa e dalla Germania, ufficialmente il miglior cliente delle scarpe made in Marche. Gli altri mercati ai primi posti nella classifica dell’export sono Francia (soprattutto per chi fa conto terzi) e Stati Uniti. Per Salina Ferretti, ceo di Falc «in questo momento i mercati alternativi sono quelli più vicini. Non cerchiamo cose difficili. Gli Stati Uniti sono un mercato molto esigente e costoso, formato da grandi gruppi e departmnent store, presidiato da marchi locali. Un’alternativa potrebbe essere il Canada». 


Il confronto


Nel confronto con la classifica dell’export calzaturiero nazionale emerge una sola grande differenza: la Svizzera. Risulta primo cliente per l’Italia (perché ci sono le sedi logistiche di grandi brand e player delle vendite online) ma occupa solo la nona posizione nella graduatoria delle Marche, con un decremento tra il 2021 e il 2020. Bisognerebbe pensare a come poter recuperare. E se invece dell’export si puntasse sul mercato domestico? Impensabile. È in difficoltà, le famiglie italiane non hanno i soldi per comprare prodotti made in Italy e c’è il problema dei tempi e dei modi di pagamento. La scarpa marchigiana ha bisogno di reinventarsi per cercare una soluzione in grado di assicurarle prosperità futura. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico