La leva del manifatturiero il bastione che ha resistito

La leva del manifatturiero il bastione che ha resistito
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La scorsa settimana sono state presentate due analisi dell’economia regionale: la Classifica delle principali imprese marchigiane a cura della Fondazione Aristide Merloni e l’aggiornamento congiunturale sull’economia regionale a cura della sede regionale della Banca d’Italia. Il quadro che ne emerge è caratterizzato, come già sottolineato da altri commentatori, da luci e ombre. Le ombre sono evidenti soprattutto se si considera l’andamento congiunturale. Il 2019 è stato un anno in frenata per molti comparti produttivi e il prossimo anno non sembra far intravedere un’inversione di tendenza. Le cause di questa frenata sono in gran parte esterne alla regione: il progressivo indebolimento della domanda mondiale e soprattutto il rallentamento osservato nell’area dell’Euro e in alcuni mercati esteri più importanti, come la Germania. E naturalmente subiamo la stagnazione della domanda interna: la crescita del PIL italiano è prevista nella misura dello 0,1% per quest’anno e dello 0,4% il prossimo anno. In questo quadro di sostanziale stagnazione dell’economia italiana e di modesta crescita di quella europea la questione che si pone per la nostra regione non riguarda tanto i valori assoluti della crescita ma piuttosto quelli relativi: riusciamo, cioè, a fare meglio della media o arretriamo rispetto alle altre regioni? Nella risposta a questa domanda sta il principale motivo di preoccupazione. Dal 2015 la dinamica del PIL regionale diverge in modo negativo rispetto a quello medio italiano e ancor di più rispetto alle regioni più dinamiche del nord. La differenza non è drammatica e i livelli del reddito pro-capite regionale rimangono comunque elevati. Tuttavia, nella percezione comune le variazioni e i confronti sono decisamente più rilevanti dei livelli raggiunti; che essendo appunto raggiunti sono dati per assodati. Per spiegare questo arretramento relativo della regione occorre passare dagli aspetti congiunturali a quelli strutturali; già ampiamente individuati da diversi commentatori per cui non li ripeterò. Vorrei invece soffermarmi sulle ‘luci’ che si intravedono dalle analisi prima citate e che possono costituire la base per una futura inversione di tendenza. La principale è che negli ultimi anni la componente più dinamica del PIL regionale è risultata l’industria manifatturiera. Il livello del PIL regionale (a prezzi costanti) è rimasto pressoché invariato dal 2014 mentre il valore aggiunto dell’industria manifatturiera è cresciuto di quasi il 10%. Ciò è dovuto alla crescita della produttività (valore aggiunto per addetto) e, a partire al 2016, anche alla crescita degli addetti. Questa divergenza di andamento ha determinato un aumento della quota del valore aggiunto manifatturiero che è passato dal 22,3% del 2011 al 24,5% del 2017 (ultimo dato ufficiale ISTAT). Il buon andamento degli ultimi anni non deve farci dimenticare che nell’ultimo decennio vi è stata una contrazione complessiva delle imprese e degli addetti nel settore. Tuttavia, i dati relativi alle principali imprese segnalano che quelle rimaste presentano una situazione finanziaria e reddituale anche più solida di quella precedente la crisi. Il che fa ben sperare sulle performance future del sistema. Non tutti i settori vanno allo stesso modo: negli ultimi anni si è accentuata la crisi del calzaturiero, preoccupante sia per la rilevanza di questo settore nell’economia regionale sia per la concentrazione territoriale. In questo, come per altre situazioni di crisi, il rischio da evitare è quello di concentrare le risorse nel tentativo di difendere l’esistente, come spesso avviene nel nostro paese. La storia della nostra regione dimostra che i periodi di successo sono stati associati a grandi trasformazioni. È evidente che occorre attutire gli effetti individuali e sociali delle ristrutturazioni ma orientando le risorse, pubbliche e private, al cambiamento e non alla conservazione. Le opportunità che si stanno aprendo nell’ambito delle produzioni manifatturiere sono straordinarie; basta pensare ai temi della digitalizzazione e della sostenibilità ambientale. Per coglierle occorre premere l’acceleratore sul fronte dell’innovazione e non sulla difesa dell’esistente.


*Docente di Economia dell’Università Politecnica delle Marche Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico