Terremoto, beffa agevolazioni: «Non spettano a tutti, è incostituzionale»

Terremoto, non tutti hanno diritto alle agevolazioni
ROMA - Tra le primissime misure adottate nel decreto terremoto c'è anche la cosiddetta 'busta paga pesante', ovvero una maggiorazione media di circa il 40%...

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ROMA - Tra le primissime misure adottate nel decreto terremoto c'è anche la cosiddetta 'busta paga pesante', ovvero una maggiorazione media di circa il 40% dello stipendio mensile per la sospensione temporanea di tasse nazionali e locali. Ad averne diritto, almeno in teoria, dovrebbero essere tutti i residenti dei 131 comuni del cratere sismico. Invece, a sorpresa, la 'busta pesante' non spetta a tutti.


Nell’articolo 48, comma 1 bis del decreto-legge del 17 ottobre 2016, poi aggiornato e ratificato il 15 dicembre, compare un'anomalia che rischia di fare distinzioni assolutamente immotivate: «I sostituti d’imposta, ovunque fiscalmente domiciliati nei Comuni di cui agli allegati 1 e 2, a richiesta degli interessati, non devono operare le ritenute alla fonte a decorrere dal 1˚gennaio 2017 e fino al 30 settembre 2017». Un bel problema, dal momento che pur essendo residenti nel cratere sismico, molti terremotati sono pendolari e dipendono per enti e aziende fiscalmente domiciliati in altre zone. Per fare un esempio: chi lavora per un'azienda di Milano o un ente locale la cui sede non è compresa nelle zone terremotate, rischia di non avere il diritto all'assistenza post-sisma. Lo stesso può capitare con i pensionati, dal momento che la sede dell'Inps è a Roma.


Un vero e proprio orrore legislativo: ad avere diritto all'assistenza dovrebbero essere i terremotati, non le aziende o enti da cui percepiscono un reddito. Diversi giuristi, come riporta Rassegna.it, hanno sollevato parecchi dubbi di costituzionalità sul decreto. A tal proposito l'ex sindaco di Fabriano, Roberto Sorci, che ha vissuto in prima persona l'emergenza del 1997, si è rivolto direttamente al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «Qualche manina incosciente ha tradito lo spirito di solidarietà del decreto, eppure basterebbero pochi minuti di lavoro in Parlamento: si ammette l’errore, si prende atto dell’equivoco generato e si modifica la norma, stavolta scrivendola in modo corretto, cioè inserendo come discriminante la residenza del soggetto fisico e non dell’ente o azienda per cui lavora. O forse è chiedere troppo?». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico