OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
SAN BENEDETTO - Fatturati in picchiata, clienti scomparsi con il Covid e tasse eccessive. I pubblici esercizi alzano bandiera bianca a San Benedetto, la realtà che - per il centro studi della Camera di commercio regionale - è la più colpita dalle conseguenze del coprifuoco con le sue 705 attività aperte al pubblico.
LEGGI ANCHE:
Maxi blitz con l'elicottero contro lo spaccio, arresti dei carabinieri lungo la costa
Basta fare un giro per la città e su molte vetrine sono apparsi eloquenti cartelli del tenore: «Ci vediamo dopo il prossimo Dpcm» o «Siamo in ferie, torniamo dopo il Dpcm». Il primo a lanciare l’allarme che il 30% dei negozi più piccoli non arriverà a mangiare il panettone o abbasserà la saracinesca poco dopo è stato il presidente provinciale della Confesercenti Sandro Assenti.
Di orari di lavoro ridotti, cassa integrazione e strategie per tutelare azienda e lavoratori parla invece Ennio Cannella, titolare delle gelaterie La Voglia Di. «Noi siamo aperti solo in via Voltattorni e nel weekend - spiega -: anche per la tipologia di prodotto, estremamente deperibile, non vale la pena. Abbiamo ridotto almeno del 30-40% il nostro fatturato in questo anno sciagurato e quindi abbiamo dovuto porre i nostri dipendenti in cassa integrazione...ma quella di maggio per loro è arrivata soltanto l’altro ieri! Se è vero che noi imprenditori soffriamo, anche i collaboratori, persone che hanno famiglie da mantenere e rappresentano il nostro capitale umano, sono messi in difficoltà. Così io, per quel che posso, e visto che è novembre mese piuttosto morto, ne approfitto per far smaltire loro le ferie. Così almeno li retribuisco lo stesso e in tempi accettabili». Feroce è poi la disamina di Peppe Talamonti, titolare della catena Papillon e anche resposnabile per la Confesercenti del settore pubblici esercizi.
«Il Covid si diffonde in bar, ristoranti e palestre - dice con ironia - per questo siamo finiti nel mirino noi in questa seconda ondata. Oggi tenere aperto è una rimessa: io ho un’impresa che sfiora i 5 milioni di euro l’anno e con più di 70 dipendenti tra il ristorante di Porto d’Ascoli, il locale al Battente di Ascoli e quello all’ospedale sempre ad Ascoli. Ebbene dico che stare aperti, oggi, è una rimessa. Non basta più che ci dilazionino le rate delle tasse, devono cancellarle o non ce la faremo. E poi sono esterrefatto per come è stato gestito il passaggio dal giallo all’arancione, da un giorno all’altro. Davvero in maniera inqualificabile. Ora poi stiamo trattando, anche con il Comune, l’abbattimento della Tari: come possono chiederci di pagare se non abbiamo prodotto rifiuti?». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico