Edwin Tinoco, storico assistente personale e amico di Pavarotti: «Grazie al Maestro vivo a Pesaro. Nicoletta Mantovani? Più sentita. Forse la rivedrò oggi»

Il legame con Big Luciano: «Lavoravo in hotel in Perù, mi cambiò la vita in 5 minuti. Per Bono Vox ero Ciccio». Oggi Pesaro celebra il tenore con una statua davanti al Conservatorio Rossini

Edwin Tinoco, storico assistente personale e amico di Pavarotti: «Nicoletta Mantovani? Più sentita
Oggi sembra un normalissimo cittadino pesarese. E non solo perché, quando non si occupa di consulenze artistiche, si ritrova a giocare a calcetto a Soria, alle pendici del...

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Oggi sembra un normalissimo cittadino pesarese. E non solo perché, quando non si occupa di consulenze artistiche, si ritrova a giocare a calcetto a Soria, alle pendici del San Bartolo.

Certo, se poi tra i compagni di squadra c’è il grande tenore Juan Diego Florez, peruviano come lui, si capisce quanto la sua storia sia in realtà diversa, unica, tutta da raccontare. «Abbiamo un gruppo su WhatsApp ma ci vediamo più che altro per fare il terzo tempo» ride Edwin Tinoco, per 13 anni assistente personale di Luciano Pavarotti. Grazie al Maestro ha conosciuto Pesaro dove oggi vive con la moglie Joanna Lewinska, soprano polacco, e la figlia Vanessa di 7 anni. 
Nel 1995 l’incontro sliding doors.
«Avevo 27 anni, lavoravo in un albergo di Lima come food & beverage manager. Pavarotti venne a esibirsi in Perù. Fu l’unica volta. Io dovevo essere al suo servizio h 24 con uno staff di 4 camerieri».
Era destino. 
«Spedirono un fax con le richieste tra le quali l’allestimento di una cucina in camera e un tavolo da poker. Arrivò con 40 valigie ma disse che aveva bisogno solo di me: 5 minuti ero in cucina con lui». 

 


Richieste particolari?
«Chiese l’acqua Perrier. Non c’era. La facemmo arrivare da Miami. Aveva le valigie piene di pasta Barilla, olio, limoni, parmigiano e prosciutto».
Cucinava Pavarotti?
«Certo, godeva nel vedere gli altri mangiare. Se oggi cucino molto bene lo devo a lui. Amava le tagliatelle al ragù ma quel giorno preparò il risotto alla parmigiana con riso Arborio “Luciano Pavarotti”. E a tavola invitò pure me».
Quando arrivò la proposta di lavoro?
«Mi chiese di andare alle prove e mi invitò al concerto ma facendomi restare in camerino. Io lo seguivo con la divisa dell’albergo. Non capivo. Poi, mi chiese: le piacerebbe lavorare per me?».
Cosa rispose?
«Dissi: in 5 minuti sono pronto. Anche se poi mi servirono più giorni per il passaporto. E perché, non sposato, ero già padre di un bambino». 
Complicato?
«Mi licenziai e salì sull’aereo per raggiungerlo a Rio con una borsa e 40 dollari in tasca».
L’assicurazione era Pavarotti. 
«Da quel giorno cambiò tutto. Di colpo mi trovai ospite in un albergo da sogno a Ipanema». 
Quando arrivò a Pesaro? 
«A luglio 1995, finito quel tour sudamericano della Tosca. Villa Giulia era bellissima con piscina, campo da bocce e pure un pollaio. Ogni Ferragosto c’era una festa con 300 invitati. E si cantava. Una volta feci duetto con il Maestro: Cuando calienta el sol. Eravamo un po’ ubriachi. Non ci sono video né foto, purtroppo».
Pesaro oggi dedicherà una statua di bronzo a Pavarotti.
«Mi fa molto piacere. Dicono sia più bella di quella di Modena».
Ci sarà anche Nicoletta Mantovani.
«Non ci siamo più sentiti, forse la rivedrò oggi. Anche Alice non l’ho più vista».
Lei, però, ha visto nascere l'amore tra Nicoletta e il Maestro?
«No, ma quando tutto scoppiò, con le foto alle Barbados di lui e lei che facevano il bagno, in quegli scatti c’ero pure io. Ero in acqua lì vicino. Fui testimone della paparazzata».
È vero che una volta a Napoli si vestì da contadino per salire sul palco e dare al Maestro caramelle per la gola?
«Verissimo. Pavarotti ad una televisione disse: io ed Edwin facciamo tutto insieme tranne l'amore, perché a entrambi ci piacciono le donne. Il nostro rapporto non è mai stato di datore e dipendente. Eravamo amici, ci capivano con uno sguardo. Abbiamo riso e pianto insieme guardando i film della Disney. Ci piaceva il calcio, lui tifava Juve. Ricordo il suo urlo dopo la vittoria del Mondiale 2006».

Una delle famose partita a briscola prima del concerto


Storiche, le partite a briscola.
«C’era il briscola-team con i suoi amici. Pavarotti giocava fino a 5 minuti prima di salire sul palco. Se mancava qualcuno mi chiamava, ovunque fossi».
Tanti incontri eccezionali. Il più bello?
«Con Nelson Mandela a Cape Town. Mi diede la mano ed ebbi una scossa dall’energia che aveva. Ma anche parlare con Lady Diana o andare a casa di Springsteen fu fantastico. Il Maestro aveva un’agenda telefonica pazzesca. A volte mi divertivo a guardare i numeri. Un giorno squillò il telefono a Villa Giulia: Ciao, sono Frank. Risposi: Frank chi? Era Sinatra. Stavano registrando My Way: lui da Los Angeles, Pavarotti da Pesaro».
Sfatiamo la leggenda: Miss Sarajevo non nacque a Pesaro.
«No, il Maestro andò a casa di Bono Vox per convincerlo a partecipare al Pavarotti & Friends. Bono mi chiamava Ciccio. E io non potevo contraddirlo. Poi, venne tante volte a Pesaro. Anche quando il Maestro stava già male. Una delle ultime volte disse: ora siamo tutti una famiglia».
Cosa le ha insegnato Pavarotti?
«La lealtà e rispetto per le persone. Poi, la generosità. Faceva regali a tutti, rispondeva ad ogni lettera, ha aiutato anche tanti pesaresi bisognosi. Sul lavoro, invece, mi ha insegnato la puntualità. Diceva: non si deve giocare con il tempo degli altri. Il libro che ho scritto è stato solo un omaggio a 10 anni della sua scomparsa. È uscito anche in giapponese. Ora sarà pubblicato in spagnolo». 
Chi è oggi l’ex Edwin Tinoco?


«Una persona normalissima che ha avuto la grande fortuna di stare accanto a Pavarotti, al quale ha voluto e vuole ancora bene. Il Maestro mi manca, ci manca continuamente». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico