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ANCONA - Essendo «elevatissimo il rischio di recidiva» va adottata «la misura cautelare maggiormente afflittiva, unico presidio in grado di tutelare la collettività (e, in particolare, i familiari della Matteuzzi, esposti al rischio di ritorsioni o gesti connotati da pari carica aggressiva) dal ripetersi da gesti analoghi» a quello commesso lo scorso martedì, sotto casa della ex, a Bologna.
È uno stralcio della motivazione con cui ieri il gip del tribunale di Bologna, Andrea Salvatore Romito, ha confermato la custodia cautelare del carcere per Giovanni Padovani, il modello-calciatore di 26 anni, originario di Senigallia, arrestato martedì sera con l’accusa di aver ucciso l’ex compagna, Alessandra Matteuzzi. La donna, agente di moda di 56 anni, sarebbe stata aggredita prima con un martello, poi con calci e pugni, infine colpita anche con una panchina.
L’udienza
Ieri mattina, nel corso dell’udienza di convalida tenutasi nel tribunale di Bologna, Padovani si è avvalso della facoltà di non rispondere. Si è presentato in aula (all’esterno della quale c’era la mamma, partita da Senigallia) con t-shirt nera, pantaloni fluo e sneakers. «È molto provato» ha detto, riferendosi al suo assistito, il difensore Enrico Buono.
La gravità dei fatti
Per il giudice la «gravità dei fatti è attestata dall’ampia estensione temporale della condotta persecutoria, posta in essere a fronte di un rapporto sentimentale di modesta durata e ridotta frequentazione e, dunque, indicativa del desiderio ossessivo nutrito dal detenuto e della sua incapacità di accettare la cessazione della relazione». A muovere il 26enne sarebbe stato un «irrefrenabile delirio di gelosia», provato sia durante la relazione che dopo.
Nell’ordinanza vengono ricordati gli atti persecutori, come la pretesa di Padovani di controllare i movimenti e le frequentazioni della vittima, di monitorare social e cellulare (si sarebbe anche impossessato delle password del suo Instagram e installato un’applicazione per captare i messaggi); gli appostamenti sotto casa, le minacce, gli insulti, i contatti telematici frequenti «pretendendo continue rassicurazioni sull’assenza di altri uomini»; la costrizione «ad effettuare brevissimi intervalli di videochiamate o filmati per consentirgli di accertarsi della veridicità di tali asserzioni». Lui si sarebbe anche introdotto clandestinamente e più volte nell’abitazione della ex. Quell’abitazione sotto la quale martedì sera, per la procura, il 26enne ha esploso la sua rabbia, uccidendo la donna.
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Corriere Adriatico