Doppio appuntamento
con Ascanio Celestini nelle Marche

Doppio appuntamento con Ascanio Celestini nelle Marche
di ​Lucilla Niccolini
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Giovedì 23 Aprile 2015, 20:53 - Ultimo aggiornamento: 22:16
ANCONA - Doppio appuntamento, stasera e domani, con Ascanio Celestini nelle Marche. Il cantastorie più amato e discusso si mette in gioco con due spettacoli: stasera (24 aprile) a Montegranaro, all’Auditorium Officina delle Arti, con "Racconti/Il piccolo paese", e domani sera (25 aprile) al Rossini di Pesaro con "Discorsi alla nazione" (ore 21) per TeatrOltre.



Un piccolo paese e una nazione. C'è l'Italia di oggi in entrambe?

"Sono due cose molto diverse: “Discorsi alla nazione" ha una sua struttura ed è ogni sera lo stesso. Invece i sei racconti possono essere di più o di meno, a seconda dell'ambiente, della risposta del pubblico. È quasi improvvisazione: io e il mio fonico, con una scaletta, diamo vita a situazioni così come il momento lo richiede. Sono storie di un paese in guerra civile, dove si attende l'arrivo di un tiranno che riporti la pace e l'ordine. In tutti, la violenza è il modo per relazionarsi ogni giorno e le vittime, invece di ribellarsi, cercano un'altra vittima contro cui rivolgere la loro rabbia: una sorta di catena alimentare della violenza. Ultimamente viene percepito come comico. Ridono molto... ".



E invece è abbastanza tragico, no?

"La tragedia è che questo popolo non sa reagire a una situazione di crisi. Guardi, poi, che anche “Discorsi alla nazione” è preso per uno spettacolo comico, mentre nessuno dei due lo è: ma credo che si metta in moto lo stesso meccanismo delle barzellette cattive, alle quali ridiamo di cose terrificanti perché così ci distanzia dalla realtà e ci si anestetizza rispetto alla violenza e al dolore".



Il suo messaggio?

"E chi lo sa? Secondo me, non esiste un teatro civile e impegnato, contrapposto a uno disimpegnato, o... incivile. Lo scrittore deve comunque parlare dell'uomo e l'uomo è così complesso e articolato, talvolta marcio, che merita un'inchiesta. L'importante è che a teatro si racconti sempre quel che di marcio c'è nell'essere umano, in noi, senza puntare il dito contro qualcun altro diverso da noi. Senza giudicare".



E il messaggio arriva?

"Mah, sa, gli spettatori a teatro rischiano di essere non molto diversi dalle masse che seguono i programmi televisivi... Non lo so, non lo chieda a me".



Ma il suo è un discorso molto serio su noi tutti...

"Io credo che alla lettura di un libro o alla visione di uno spettacolo, il lettore, o lo spettatore, debba elaborare i suoi dubbi e le sue idiosincrasie. Spero solo che chi esce, alla fine, non abbia le idee chiare, e nemmeno si senta tanto leggero da avviarsi senza pensiero a una birra con la pizza... ma con molti dubbi, perché è quello che mi succede quando scrivo: non ho le idee chiare, più ricerco più entro nei dubbi, li coltivo".



La sua può definirsi un'epica moderna? Lei dà l'idea a volte di un aedo del terzo millennio.

Sorride stupito.

"Nell'epica, gli eroi erano delle marionette. Oggi la situazione è diversa, ma in fondo simile: gli dei non esistono, e nemmeno gli eroi, siamo tutti marionette senza fili e senza pupari. Mi interessa questa dimensione di essere umano che non è mosso da qualche burattinaio, ma che vive in maniera fatalista la propria condizione. Poi c'è tutta la storia umana sporca e violenta con la quale i burattini si confrontano, con la loro arma più congeniale, che è la debolezza...".



Che pessimista!

Protesta.



"Neanche un po'! La debolezza dell'essere umano è la sua grande forza, l'unica arma nei confronti di una realtà più grande... Guardi che essere in balia degli eventi non significa affogare, ma galleggiare...".



Un'arte tutta italiana.

"Forse anche molto italiana: continuiamo a non avere il senso dello stato perché qui da noi non c'è mai stato, uno stato, fin dalla fine dell'impero romano. Ci prendono in giro, nel mondo, ma noi abbiamo piuttosto il senso della città, sia quelle grandi e gloriose che i piccoli centri. Siamo il popolo delle città e delle piazze: è questa la nostra forza, perché gli individui si riconoscono, nelle piazze: nella nazione ci sono solo masse...".



Discorsi alla nazione: una predica o una denuncia?

"Non è una denuncia, che ha la sua sede in questura e in tribunale, posti che non frequento volentieri, sono istituzioni che mi piacciono poco. Ma neanche una predica, spero, anche se la preferisco. Semplicemente, come diceva Henry Miller "il mio romanzo parla dell'uomo che sono io". Mi sdraio sul tavolo anatomico e apro il mio corpo, mostrandomi nudo, che è la cosa più saggia che possa fare un attore: in scena con tutta la sua complessità e autenticità. È la cosa più interessante...".
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