Bruno e Palma, l’ultimo viaggio insieme. Le parole di Don Fabio: «Non spetta a noi giudicare»

Bruno e Palma, l’ultimo viaggio insieme. Le parole di Don Fabio: «Non spetta a noi giudicare»
Bruno e Palma, l’ultimo viaggio insieme. Le parole di Don Fabio: «Non spetta a noi giudicare»
di Marco Pagliariccio
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Sabato 6 Aprile 2024, 02:55 - Ultimo aggiornamento: 11:32

CORRIDONIA È una Corridonia ancora stordita quella che ieri mattina ha dato l’ultimo saluto a Bruno Cartechini e Palma Romagnoli. L’uomo, 86 anni, aveva ucciso la moglie malata di Alzheimer, coetanea, la mattina di Pasqua per poi spararsi all’addome e morire anch’egli dopo alcuni giorni di agonia in ospedale.

I funerali sono stati celebrati ieri mattina nella chiesa dei Santi Pietro, Paolo e Donato.

Un centinaio, forse qualcosa in più, le persone presenti. «Ma in fondo sono contento che non ci sia il pienone qui oggi: è segno che non ci sono curiosi, ma solo persone che vogliono partecipare veramente a questo momento di dolore», ha detto don Fabio Moretti aprendo la sua omelia.

Il delitto

La tragedia di Pasqua ha evidentemente sconvolto la comunità corridoniana, rappresentata dagli ultimi tre sindaci della città: l’attuale primo cittadino Giuliana Giampaoli, la sua vice ed assessora ai servizi sociali Nelia Calvigioni e Paolo Cartechini che, pur portando lo stesso cognome di uno dei due coniugi, non era loro parente ma un semplice conoscente. Insieme i feretri di Bruno e Palma sono arrivati al piazzale antistante alla chiesa, fianco a fianco sono rimasti durante la celebrazione e insieme sono volati verso il cimitero cittadino. È stata una funzione breve, avvolta in un silenzio cupo, rotto solo dal pianto della figlia Stefania. Una cupezza a cui proprio don Fabio Moretti ha cercato di dare una forma nella sua omelia.

«La nostra comunità è stata toccata da questo evento così forte e in questi giorni sta facendo fatica a leggere nella fede un fatto del genere – ha detto don Fabio Moretti –. Ho ancora in mente la messa pasquale delle 10.30, nella quale celebravamo con gioia l’affermarsi con forza della resurrezione di Gesù e poco dopo abbiamo appreso la notizia dell’accaduto. Purtroppo le feste spesso acuiscono certe situazioni, certe mancanze, certe difficoltà. Alla nostra comunità non viene chiesto un giudizio sull’accaduto, ma un sentimento di umanità e di comprensione. Quello che sfugge alla nostra razionalità ci fa istintivamente paura, per cui abbiamo la necessità di creare una cornice entro la quale inserire ciò. Anche fatti di sangue come questo possono trovare posto dentro la grande cornice della misericordia di dio. La malattia logora dentro, consuma, a volte ci porta a chiuderci anche se abbiamo persone intorno a noi che ci vogliono bene».

Le parole

«Non c’è un’oggettiva solitudine, eppure sentiamo la solitudine pervaderci spingendoci a chiuderci sempre di più. E a volte, come in questo caso, porta a gesti estremi - ha proseguito il parroco -. Ma dobbiamo anche ricordare la bellezza della vita, che va celebrata e rispettata sempre. E quando la vita viene minacciata dalla malattia, ancora di più la comunità deve stringersi intorno ai suoi membri».

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