ARQUATA - «Siamo vivi, ma morti dentro». Quella tragica notte di sette anni fa, la sua vita e quella della sua famiglia è cambiata per sempre. La terribile scossa, arrivata in piena notte, in pochi secondi le ha portato via gli affetti più cari: il marito Alberto Reitano, il figlio Tommaso e i genitori Corrado e Santina Giorgi sono morti sotto le macerie.
«Siamo marchiati, per noi ogni giorno è il 24 agosto», racconta Patrizia Marano che dal giorno della tragedia trova la forza per andare avanti nel figlio Matteo, l’unico della famiglia che, insieme a lei, è scampato alla furia del Mostro. «Lui desso ha 29 anni e ci facciamo forza l’uno con l’altra – dice -.
La scossa
Il ricordo va inevitabilmente a quella notte: «Ho ascoltato mio marito morire – ricorda Patrizia con la voce carica di commozione -. Era di fianco a me, nel letto, e urlava “sto morendo”. Quando è arrivata la seconda scossa, lui non c’era già più. Invece di mio figlio Tommaso non sapevo che fosse morto. È stata mia sorella, il giorno dopo a dirmi che da quel momento mi sarei dovuta occupare solo di Matteo». Da quel momento la loro vita, quella sua e del figlio, è cambiata per sempre: «La gente fugge dal dolore e noi, dopo un po’, siamo rimasti soli – è l’amara considerazione della donna -. Gli amici di un tempo si sono allontanati e la solidarietà l’abbiamo trovata o da coloro che hanno vissuto la nostra stessa tragedia e provato il nostro stesso dolore o dalle persone che abbiamo conosciuto successivamente».
Un senso di abbandono subito anche dalle istituzioni: «Nessuno ci ha considerato: né dal Lazio, dove abbiamo la residenza, né dalle Marche dove c’era la nostra casa. Però i nostri cari sono morti». Adesso, l’obiettivo è ricostruire la loro casa: «Il nostro obiettivo ora è quello – dice Patrizia – il mio futuro lo vedo lì. Anche perchè su quella casa ridotta ad un cumulo di macerie, sto continuando a pagare un mutuo. Avevamo deciso di ristrutturarla e per fare i lavori avevamo chiesto il mutuo in banca ma il terremoto ha spazzato via tutto».
Patrizia e il figlio sono tra coloroi che al momento di scegliere dove ricostruire la propria abitazione hanno preferito l’ipotesi di delocalizzazione: «Pescara del Tronto mi ha dato tanto ma mi ha anche tolto molto – spiega la donna -. È stato il nostro paradiso ma dopo quel 24 agosto si è trasformato in un inferno. Piedilama è più tranquilla ed io mi sento accanto a loro. Ed ho scelto di seppellire i miei cari al cimitero di Borgo proprio per avere la forza di ritornarci. Andare a Pescara mi avrebbe fatto troppo male». Sono passati sette anni ma il dolore per quelle vite strappate alla vita in pochi minuti è ancora troppo forte.