Lite per i soldi, poi i colpi di pistola
L'imprenditore arrestato: mi sono difeso

Lite per i soldi, poi i colpi di pistola L'imprenditore arrestato: mi sono difeso
di Roberto Rotili
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Martedì 16 Settembre 2014, 10:31 - Ultimo aggiornamento: 20:10

FERMO - Spari. Colpi a ripetizione. Ha svuotato quasi il tamburo del revolver, una calibro 38, che insieme ad altre armi teneva regolarmente custodita in casa. A terra sono rimasti due operai. Entrambi kosovari: Mustafà Nexhemedin, 39 anni, padre di quattro figli (il più grande di sette e il più piccolo di un anno e mezzo), da tredici in Italia e Avdyl Valdet, 26 anni, sposato da appena un anno, fratello della moglie di Mustafà.



Ciferri, dopo l'arresto, è stato portato in ospedale perché lamentava forti dolori a un polso e aveva graffi e ferite su un braccio. E' stato sottoposto a visita e a radiografie. Poi è stato ricondotto in cella.

Avevano lavorato fino ad un paio di anni fa con l’imprenditore che ha estratto l’arma, l’ha puntata contro di loro e ha premuto il grilletto uccidendoli entrambi.

Lui ai carabinieri ha raccontato di essere stato aggredito con una piccozza, un piccolo piccone in miniatura, una sorta di martellino usato spesso per pulire i mattoni nei cantieri edili, che da un lato ha la punta in ferro e dall’altro una lama che viene chiamata “taglierino”. Gianluca Ciferri, 48 anni, imprenditore edile, subito arrestato dai carabinieri, ha esploso cinque colpi che sono risultati mortali per i suoi due ex operai. Il duplice omicidio presenta risvolti ancora oscuri. Sarebbe avvenuta una colluttazione, gli operai avrebbero sorpreso l’ex datore di lavoro alle spalle. Ma Ciferri, che al momento dell’incontro era solo in casa, la sua bella abitazione (una sorta di casolare di campagna rimesso a nuovo) in via Monte Pacini 12 a Molini Girola, sarebbe riuscito a divincolarsi, correndo verso la vicina dependance dove custodiva la pistola, cominciando a fare fuoco.

I due kosovari pare lamentassero dei crediti e pretendevano di essere liquidati. Era in atto già da tempo una vertenza sindacale da parte di uno di loro, il più anziano. Tutto si è svolto in pochi, concitati secondi. Le scene del crimine sono due: la prima è quella dell’abitazione di Ciferri, appena dopo l’ingresso, tra il grosso cancello e la dependance. E’ lì che è caduto senza vita Mustafà Nexhemedin, freddato all’istante. La seconda è distante appena cento metri, davanti al numero civico 9, dove si è trascinato agonizzante Valdet Avdyl dopo avere lasciato lungo la strada una evidente scia di sangue.

Sono circa le 11 quando avviene la tragedia. I due, ex dipendenti, sono arrivati a bordo della Mercedes Classe C 220 di colore grigio metallizzato di Nexhemedin.

L’auto è parcheggiata correttamente di fianco all’ingresso, sul vetro posteriore campeggia un vistoso adesivo “Attenzione bebè a bordo”. Nelle immediate vicinanze dell’abitazione non c'è nessuno, a parte una vecchietta in precarie condizioni di salute che vive da sola nella casa attigua, più in basso, rispetto alla villa dell’imprenditore.

Da qui in avanti si entra nel campo delle ipotesi. Gli operai, con in mano la piccozza, avrebbero aggredito l’imprenditore, a cui hanno chiesto di onorare il debito economico. Nella vicina dependance al cancello d’ingresso Gianluca Ciferri conserva cinque pistole e due fucili, tutti regolarmente detenuti: è qui che si sarebbe rifugiato l’imprenditore e dove avrebbe preso la pistola calibro 38 con il caricatore pieno di proiettili. Dopo avere afferrato l’arma l’uomo è uscito ed ha fatto fuoco: una, due, tre, cinque volte di seguito. La prima pallottola ha centrato e freddato all’istante Mustafà Nexhemedin. Il corpo esanime disteso a terra proprio davanti alla dependance è il macabro biglietto da visita della tragedia che si è consumata in via Monte Pacini. Uno degli altri quattro colpi ha raggiunto Avdyl Valdet, lo ha ferito gravemente ma non lo ha ucciso. Il ventiseienne ha tentato di scappare, imboccando la strada in salita che conduce fuori dalla villa. E’ caduto a terra privo di forze qualche metro più in là del cognato, a ridosso di un praticello e alcuni campi agricoli, proprio davanti all’abitazione della famiglia Frollo. Ha cercato di chiedere aiuto con le poche forze che ancora gli restavano in corpo, ma qualche minuto dopo ha esalato l’ultimo respiro.

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