«Il signor G ironico e sincero». Gioele Dix mattatore in “Ma per fortuna che c’era il Gaber” domani sera a Porto San Giorgio

«Il signor G ironico e sincero». Gioele Dix mattatore in “Ma per fortuna che c’era il Gaber” domani sera a Porto San Giorgio
«Il signor G ironico e sincero». ​Gioele Dix mattatore in “Ma per fortuna che c’era il Gaber” domani sera a Porto San Giorgio
di Chiara Morini
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Lunedì 15 Aprile 2024, 05:25 - Ultimo aggiornamento: 12:14

L’inimitabile talento di Giorgio Gaber rivivrà nello spettacolo di e con Gioele Dix (al secolo Davide Ottolenghi). “Ma per fortuna che c’era il Gaber. Viaggio tra inediti e memorie del signor G”, questo il titolo, sarà in scena domani, martedì 16 aprile, alle ore 21,15 al Teatro comunale di Porto San Giorgio (info: 3924450125).

Gioele Dix, perché questo titolo?

«I più “vecchi” ricorderanno questa frase come una citazione di Gaber, più precisamente dalla canzone “Il Riccardo”, che diceva: “Ma per fortuna che c’è il Riccardo”. Gaber non era solo un cantante, ma uno che con il parlato raccontava le cose come stavano, uno che muoveva le coscienze. Parlava alle generazioni. Gaber è stato interprete di un periodo bello. In uno dei suoi brani, “Un’idea”, diceva: “Se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione”, uno dei temi a lui più cari».

Ovvero?

«Intendo dire è attraverso le persone che passa il cambiamento».

Manca Gaber?

«Una cosa che a me manca di lui è quel suo velo di ironia con cui interpretava le questioni più impegnate».

Quale Gaber viene fuori da questo spettacolo?

«Lo spettacolo ha debuttato lo scorso anno in occasione del ventennale della sua scomparsa e nasce dalla mia passione per lui. Nella serata ci saranno anche inediti, testi mai usciti in altri spettacoli, viene fuori sia il Gaber conosciuto che quello meno noto. Questo anche grazie alla Fondazione Gaber che ha messo i materiali a disposizione del progetto».

Lei, Dix, ha mai conosciuto Gaber? Come lo ricorda?

«Sì lo ho conosciuto, è una delle cose che racconto durante lo spettacolo. Lui era il mio mito da ragazzino, il mio idolo quando avevo 15 anni. Poi ho iniziato a fare questo lavoro e un giorno, in albergo, a colazione arrivò lui a stringermi la mano. “Sei Gioele Dix”, mi disse.

Gaber, che io avevo sempre tenuto sopra un piedistallo, mi aveva riconosciuto, sapeva chi ero. Poi ci siamo rivisti altre volte».

Qui lei canta, vero?

«Di brani ne canto 12, una chicca del ‘66, oppure quello sulla coppia che si sfalda e a questo proposito nei cassetti abbiamo trovato anche un nuovo testo per questo brano. La coppia nella vecchia versione non poteva divorziare, non era previsto dalla legge, e viveva questo “dramma”. Nella nuova c’è qualcosa di diverso».

Si sente che le piace fare questo spettacolo…

«Sì è uno spettacolo che amo, sono felice di farlo. Questa è l’unica data nelle Marche, spero di tornare ancora nella prossima stagione. È un bel po’ che manco dalla vostra regione, dove ho fatto tanto negli anni ‘90 – 2000, ricordo Civitanova e San Benedetto del Tronto, Fano e tanti altri centri».

Come mai ha scelto il nome d’arte Gioele Dix?

«A un certo punto volevo un nome finto e questo mi suonava bene. All’inizio del mio lavoro facevo prosa e poi ho fatto cabaret. Da quel momento in poi ho avuto il nome d’arte».

É difficile fare cabaret e comicità oggi?

«Sì, ma come lo è sempre stato, del resto. La cosa più difficile del nostro lavoro è far ridere. Oggi forse è complicato per i più giovani, c’è molta concorrenza, e si fa fatica, io stesso ne ho fatta a suo tempo. É difficile anche perché la televisione prima e i social poi hanno un po’ sparigliato le carte. É più facile e più complicato allo stesso tempo».

Ha lavorato con maestri come Parenti e Fantoni, che cosa le hanno lasciato?

«Mi hanno dato entrambi qualcosa. Il rigore, della generazione seria, che si impegnava, e il coraggio: entrambi erano singolari, avevano provato a rischiare, a non attendere».

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