Trentasei anni, libero professionista originario dell’Abruzzo, il papà del neonato morto al Pertini di Roma è disperato. E anche arrabbiato.
«L’autopsia ci dirà di cosa è morto. La mia compagna si era appena rincuorata, ma ora che la vicenda è venuta alla luce è a pezzi. Insieme abbiamo letto sul web tanti commenti di altre donne, alcune che hanno partorito sempre al Pertini, che hanno lamentato di essere state lasciate sole coi lori figli appena nati. Tutte stremate dal parto, impossibilitate a prendersi cura come si dovrebbe di un bebè».
«Le si erano rotte le acque alle 4 della notte, ha poi trascorso 17 ore in travaglio prima di partorire. Era sfinita, ma le hanno subito portato il piccolo per l’allattamento e hanno anche preteso che gli cambiasse il pannolino da sola. Ma lei non si reggeva in piedi».
«Sì, entrambi. Lei stessa aveva implorato più volte il personale del reparto di portare il piccolo al nido per qualche ora per potere riposare un po’. Non ce la faceva più. Ma la risposta era sempre “no, non si può”».
«Si figuri che io ho potuto prendere in braccio mio figlio solo due volte: la prima quando è nato, il 5 gennaio, poi per un’oretta il pomeriggio del 7. Ero l’uomo più felice del mondo in quei tre giorni, toccavo il cielo con un dito, poi è arrivato l’inferno».
Hanno provato a rianimarlo?
La mamma si è accorta che il bimbo stava male?
«No, non l’avevano nemmeno svegliata, ha aperto gli occhi da sola e lo avevano già preso. Non sappiamo bene chi se ne sia accorto. All’1.40 della notte è stato dichiarato il decesso».
«Sì, è stato accanto a lei ininterrottamente. E lei, anche se giovane, ha 29 anni, era molto stanca. Il bimbo, poi, era particolarmente irrequieto, così ha passato le nottate senza chiudere occhio. Ma mio figlio stava bene, apparentemente era sano a tutti gli effetti. Ora aspettiamo di conoscere il risultato dell’autopsia e abbiamo affidato il caso a un legale. Di fatto, la causa esatta della morte è ancora sconosciuta e tante risposte noi ancora non le abbiamo. Confidiamo nelle indagini».
«Lì è nata la mia compagna e lei voleva che anche suo figlio venisse al mondo in quell’ospedale».
«La cosa che non ci dà pace è che poteva accadere a chiunque, ed è successo a noi. Nulla ci potrà ridare indietro il nostro bambino, ma non vogliamo che accada ad altri genitori di vivere il nostro stesso incubo. Molte donne sono lasciate sole nei reparti, complici anche le restrizioni anti-Covid che impediscono ai familiari di rimanere in stanza ad aiutare le neo-mamme. Ecco, i protocolli adottati negli ospedali andrebbero rivisti anche alla luce di questa considerazione. Se ad altre mamme non è capitato, è solo perché loro sono state fortunate».
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