No, il partito unico: no. A via della Scrofa, quartier generale di Fratelli d’Italia, pur considerando che la politica italiana è assai fluida, escludono un bis del Pdl. Dal quale Giorgia Meloni uscì anche per non dover sottostare al potere di Berlusconi, e i più espliciti si spingono a dire che finché il Cavaliere non accetta definitivamente e fino in fondo che il numero uno non è più lui questo matrimonio non si può fare. Ma si può fare altro, molto altro.
Il nuovo terzetto di comando al femminile del centrodestra, ossia quello delle tre M ossia Marta (Fascina), Marina (Berlusconi), Meloni (Giorgia), guarda a Bruxelles come chiave politica per governare meglio a Roma. Come dicono sia in FdI che in Forza Italia: “Marciare divisi per colpire uniti”. L’obiettivo sono le elezioni europee del 2024.
Il piano sul Pnrr
Nessun remake del Pdl dunque, ma una constatazione comune attraversa il duo Marta-Marina (con Berlusconi ovviamente in cabina di regia) e la top player Giorgia. E cioè che, se non si va a comandare - ribaltando la storica alleanza popolari-socialisti - in Ue, il governo di centrodestra in Italia rischia di perdere la sua partita. Dove il pallone vero si chiama Pnrr e se il Pnrr viene vanificato causa ritardi nostrani, difficoltà burocratiche, progetti fatti male e una parte delle colpe viene data al governo di Draghi (questo il refrain e anche questo: l’attuale Ue “ci rema contro”, dicono i meloniani e qualcuno di loro si spinge ancora più in là: “Useranno il Pnrr per farci cadere”), per il nostro Paese e per chi lo guida sarà un flop epocale e la probabile fine di una stagione con tutte le sue promesse da “risolleviamo l’Italia”.
La delicatezza della questione nessuno la sottovaluta. Essere più garantiti da un governo europeo amico, che possa aiutarci sul piano di resilienza e di ripresa bisognoso di tempi più lunghi di quelli previsti fino al 2026, non isolarci sulla questione dei nuovi carburanti per le auto e su tanti altri dossier come quello delle case green: ecco a che cosa guarda il riavvicinamento tra forzisti e melonisti. A una Ue che collabori e non contrasti.
Il fatto è che, nel confronto tra Roma e Bruxelles, negli ultimi mesi qualcosa s’è guastato e si va facendo sempre più chiaro, nel centrodestra, che soltanto cambiando il manico brussellese si può ottenere qualcosa e lavorare con più forza per l’Italia. I due partiti pensano dunque a come rinforzarsi, in una competizione virtuosa e cooperante, nel voto del 2024 per poi presentarsi un sintonia al tavolo della formazione della prossima commissione Ue. Intanto, il congresso di FdI previsto per la fine del 2023 (l’ultimo è stato quello di Trieste 2017) non sancirà le nozze con Forza Italia ma l’ esistenza, se da qui ad allora le cose non cambiano, di un percorso comune. A proposito di partito unico, è solo cambiato il gioco di coppia: non si è sempre detto fino a poco fa che i promessi sposi dovevano essere Lega e FI? Ora è mutato il verso della chiacchiera ma resta il bla bla. Parlando invece di politica solida, sostanziale, fattuale, gli occhi del centrodestra italiano guardano alla dimensione continentale in cui il rapporto tra conservatori e popolari è destinato a intensificarsi, a scapito della Lega. A meno che Salvini non trovi il modo - e l’abilità funambolica non gli manca - per evitare la marginalizzazione e lo stritolamento nella tenaglia rosa delle tre M: Marta, Marina, Meloni.
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