FERMO Bolkestein, mazzata per balneari e governo: gli indennizzi chi dovessero perdere le aste non si possono concedere. Perlomeno non nella forma in cui sono stati pensati dall’Italia. Lo hanno messo nero su bianco a stretto giro, prima l’Unione europea con una lettera inviata al governo e poi il Consiglio di Stato.
Il decreto
Poco prima della fine di giugno i ministeri delle Infrastrutture e dell’Economia e finanze hanno rilasciato il decreto sugli indennizzi, che ha ottenuto la bollinatura della Ragioneria di Stato. Il decreto prevede che indennizzi dovranno essere calcolati sulla base del valore degli investimenti effettuati negli ultimi 5 anni e non ancora ammortizzati al termine della concessione. A questi è previsto si aggiunga l’equa remunerazione degli investimenti effettuati negli ultimi 5 anni. Il nuovo concessionario avrà sei mesi di tempo per saldare l’indennizzo al precedente gestore. Già la bozza aveva scontentato i balneari, che non ritenevano giusto calcolare gli indennizzi sugli investimenti fatti. Ma negli ultimi giorni sono arrivate due bocciature, una dietro l’altra. Prima l’Ue ha ricordato, con una lettera inviata al governo che «il diritto dell’Unione non consente, nelle circostanze di questo caso, di riconoscere alcuna compensazione agli operatori uscenti, tanto meno a carico dei nuovi operatori».
Per poi aggiungere: «L’equa remunerazione sembra sia finalizzata a compensare il concessionario uscente per il valore aziendale o di mercato dell’impresa balneare, contrariamente alle chiare indicazioni già fornite da questi servizi in merito alla necessità di escludere dalla compensazione il valore aziendale di cui era titolare il precedente concessionario». Come a dire, il decreto deve essere riscritto per eliminare qualsiasi vantaggio per chi lascia e qualsiasi ostacolo per chi invece dovesse subentrare. La concorrenza, che è il principio cardine di tutta la Bolkestein, deve essere garantita. A stretto giro è arrivato anche il parere del Consiglio di Stato, che lo stesso governo ha interpellato prima di portare il decreto in Parlamento. E la giustizia amministrativa è andata anche più a fondo nel bocciare il decreto indennizzi. Innanzitutto il Consiglio di Stato parla di carenze procedurali e formali nella presentazione del documento. Mancano, secondo i giudici, riferimenti normativi chiari e «non si fa alcun cenno a consultazioni intervenute con l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, che sarebbe stato assai opportuno acquisire».
Poi si entra nel merito. «Nella specifica disciplina delle concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative e sportive - specifica il Consiglio di Stato - non è dato rinvenire una disposizione che imponga il riconoscimento automatico e generalizzato di un indennizzo a favore del concessionario uscente, alla scadenza del rapporto». Anche il Consiglio di Stato, in sostanza, stabilisce che non possono esserci favoritismi né verso chi lascia, né verso chi subentra. «Occorre evitare - si legge infatti nel parere - che il costo economico delle scelte operative di investimento del gestore uscente, rientranti nel perimetro dell’ordinario rischio di impresa, sia prospetticamente scaricato, nelle forme di una generalizzata obbligazione indennitaria, sull’operatore subentrante».
Cioè un indennizzo tout court sarebbe «un indebito arricchimento, proiettabile come vantaggio competitivo» per gli attuali gestori. Dall’altro canto, bisogna evitare che «gli investimenti sostenuti dal gestore uscente, non ancora ammortizzati, si traducano in obiettivo ed indebito vantaggio del subentrante». Insomma, si può ragionare sul rimborso degli investimenti non ammortizzati, ma contestualizzando meglio modi e termini.
La concorrenza
Ma è impensabile parlare di indennizzi per investimenti generici. In definitiva, così come scritto il decreto, secondo il Consiglio di Stato, «non potrebbe che sortire un esito disapplicativo già in via amministrativa». Cioè, se approvato, sarebbe bocciato dal primo tribunale che dovesse trovarsi a esaminare un ricorso. Il parere del Consiglio di Stato non è vincolante, ma è chiaro a questo punto che il decreto dovrà essere rivisto. E Il nodo qui diventa più politico che tecnico, perché verrebbero meno le promesse fatte ai concessionari, che si ritroverebbe con un pugno di mosche in mano rispetto a quanto si aspettavano ed era stato loro garantito. Il Mit ha già fatto sapere che «non ci saranno arretramenti». Vedremo, intanto il 2027 incombe.