«Sud, ventimila imprese sono a rischio chiusura senza più aiuti statali»

«Sud, ventimila imprese sono a rischio chiusura senza più aiuti statali»
di Nando Santonastaso
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Giovedì 15 Aprile 2021, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 18:55

Il sistema sta tenendo ma non è detto che a fine pandemia reggerà per tutte le imprese che hanno fatto ricorso finora ai prestiti garantiti dallo Stato per sopravvivere. Dal report realizzato da Svimez e Mediocredito Centrale sulla liquidità assicurata da un anno alle pmi attraverso il Fondo di garanzia, presentato ieri on line, emerge un dato allarmante: in due anni, dal 2018 al 2020, altre 56mila piccole imprese si sono aggiunte a quelle già considerate zombie, ad un passo insomma dalla chiusura. Oggi in questa fascia se ne contano ben 84mila, tutte accomunate dal rischio di non ripartire quando il sostegno cesserà. Le ultime, le 56mila new entry, facevano parte prima che esplodesse il contagio, di una zona di sicurezza, per così dire. Nel senso che avevano redditività media o bassa ma una apprezzabile o sufficiente efficienza operativa e soprattutto un grado di autonomia finanziaria e di media esposizione finanziaria discreta o sufficiente. Dal 2018 ad oggi il salto all'indietro è stato evidente e il dato fa paura perché riguarda imprese strutturate, capitalizzate e appartenenti a settori non marginali nell'economia del Paese.

Ma in base alle simulazioni di Svimez è dal Sud che arriva forse l'allarme più serio: considerata la storica debolezza produttiva e industriale dell'area, sapere che di quelle 56mila pmi quasi 20mila sono localizzate nel Mezzogiorno (e si sale a 25mila se si considera il totale delle 84mila pmi a rischio) rende lo scenario a breve e medio termine a dir poco inquietante. Anche perché, pur non potendo sommare aritmeticamente valori e entità molto differenti tra di loro, a questo numero andrebbe poi aggiunta la moltitudine di microimprese e di partite Iva che non hanno avuto accesso ai sostegni garantiti dal Fondo pmi e che appaiono anche loro in enorme difficoltà. «Oggettivamente la forte iniezione di liquidità dello Stato ha impedito che le pmi a rischio dovessero già adesso essere costrette alla chiusura ma quando la pandemia finirà dovranno fare i conti anche con le scadenze per ripianare i nuovi debiti e la strada per loro può diventare ancora più in salita», commenta Luca Bianchi, Direttore generale Svimez, intervenuto alla presentazione del report con il ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti, la vicedirettrice generale di Bankitalia Alessandra Perrazzelli, il presidente e l'Ad di Mediocredito Centrale, rispettivamente Massimiliano Cesare e Bernardo Mattarella.

Dietro numeri e statistiche ci sono pmi manifatturiere, tessili in particolare, del comparto dei servizi e del made in Italy.

Imprese, come detto, strutturate ma per le quali diventa indispensabile ora ripatrimonializzare. E non sarà semplice. «La sfida - insiste Bianchi - è trovare strumenti che trasformino il debito contratto dalle imprese in forme gestibili che non ne compromettano la normale operatività. Anzi, lungo questa strada, sé necessario pensare a strumenti in grado di accrescere strutturalmente la patrimonializzazione delle aziende che costituisce come emerso dall'analisi un punto debole dell'impianto economico-finanziario». Non si tratta solo di «proseguire nell'utilizzo di strumenti che si sono rivelati efficaci nell'affrontare l'emergenza dice Mattarella ma di aiutare il tessuto produttivo nazionale a incamminarsi lungo un nuovo sentiero di crescita, senza che si verifichi, come in passato, un divario regionale dei percorsi di sviluppo». 

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La base di partenza, peraltro, appare comunque consistente. I dati aggiornati del Fondo di garanzia delle pmi dimostrano che circa mezzo milione di piccole e medie imprese meridionali ha avuto accesso ai prestiti garantiti dallo Stato (pari al 26,7% del totale, più del Nord Est e del Centro, poco meno del Nord Ovest). È vero, come aveva anticipato di recente al Mattino il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli, che per gli importi maggiori (oltre 100mila euro) il Nord aveva presentato la totalità delle domande; e che la media degli importi chiesti e ottenuti dal Sud, pari a poco più di 61mila euro, è la più bassa tra le ripartizioni territoriali del Paese. Ma è altrettanto vero che non poche città del Sud, da Napoli a Bari, a Salerno, hanno avuto importi per i finanziamenti garantiti superiori a quelli di molte città del Nord e alla stessa Roma, a dimostrazione di una vivacità del sistema imprenditoriale che il Covid non ha spento del tutto. «Il meccanismo di garanzia costruito dal Mediocredito Centrale ha ottenuto risultati sorprendenti, stendendo una rete di sicurezza sul sistema delle pmi - dice il ministro Giancarlo Giorgetti - Ed è incredibile come la burocrazia italiana abbia risposto con grandissima rapidità e tempismo alle imprese. Ora stiamo riflettendo sulle modalità di proroga e anche di allungamento nella durata delle garanzie, andando oltre la logica di soccorso, per accompagnare le prospettive delle imprese nei settori dell'innovazione e della transizione ecologica. La sfida adesso è decidere quali siano le aziende da aiutare perché hanno un futuro e quali no».

«Sulla rimodulazione delle misure di supporto alla liquidità delle aziende, ci si sta interrogando, non solo in Italia, con proposte diverse», sottolinea Alessandra Perrazzelli. Che aggiunge: «Le soluzioni prospettate andrebbero valutate adattandole alle peculiarità della nostra struttura imprenditoriale e valorizzando gli aspetti che possono mitigarne le debolezze. È bene, in ogni caso, che la rimodulazione non avvenga prima che la situazione sanitaria e quella economica siano significativamente migliorate. Con il ridursi dell'incertezza sulle prospettive dell'economia, l'utilizzo delle misure potrà essere reso maggiormente selettivo, così da limitare il rischio di destinare risorse a imprese che non ne avrebbero bisogno o prive di prospettive di rilancio, con ricadute negative sulla crescita dell'economia». 

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