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Così diversi, così uguali
In fondo tra il rap e la stand up comedy forse non ci sono così tante differenze, come racconta lui stesso: «Hanno tantissimi punti in comune, ho ritrovato in questa forma espressiva tante cose che avevo già visto e vissuto e ora le posso guardare con un’esperienza diversa.
L’esempio di Gaber
D’altronde si stanno cercando in Italia gli eredi di Gaber: «lasciamo stare i santi», è pronto a rispondere Ghemon, sorridendo. «Non lo conoscevo moltissimo, ma è stata la mia vocal coach a dirmi che stavo prendendo questa strada. Da lì ho approfondito e per me è stato bellissimo scoprire che forse ci ha unito l’istinto, il coraggio di non conformarsi al presente e di esprimere le proprie idee. In questo senso spero di rendere onore alle porte che lui ha aperto». Canzoni e ironia sono sempre un binomio vincente e ci vuole anche coraggio a prendersi in giro su un palcoscenico: «Sinceramente mi sembrava meno coraggioso continuare a fare quello che stavo facendo, senza lasciare parlare quella parte di me che mi chiedeva di cambiare. Ridere delle proprie disavventure, permette di curare le proprie ferite». Ghemon chiede al pubblico anche di non “spoilerare”, di non fare raccontare nulla dello spettacolo, tra l’altro nuovo ogni sera. Un’impresa titanica? «Mi colpì Silvio Orlando che nel suo monologo diceva che per un’ora e mezza il pubblico avrebbe potuto fare a meno del mondo, ma soprattutto, il mondo avrebbe potuto fare a meno di loro. Certamente in un monologo ciò che accade in platea potrebbe distrarre mentre sei alle prese col filo della memoria, ma io ho adottato un’altra tecnica: ho reso il pubblico complice. Gli chiedo di non rivelare la sorpresa come gli altri hanno fatto con loro e funziona, la complicità aumenta la collaborazione». Sul palco con Ghemon: Giuseppe Seccia alle tastiere e Filippo Cattaneo Ponzoni alla chitarra.
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Corriere Adriatico