Una Zidane (il suo idolo) in gonnella, una pesarese – della quale colpiscono la profondità e i contenuti - sul tetto del mondo calcistico. Raffaella Manieri,...
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L’apoteosi di una carriera
«I primi sei mesi furono un’agonia – assicura Raffaella, 30 anni -. La cultura completamente diversa, sedute intense, una rosa di 27 giocatrici di cui solo 11 scendevano in campo, una competizione altissima… Ci ho messo sei mesi a prendere il loro ritmo. Non conoscevo il tedesco né l’inglese, la forza me la davano l’obiettivo prefissato e il fatto di essere in un ambiente professionistico, che mi piaceva tantissimo. Alla prima di ritorno entro in campo e cambia la mia vita: divento titolare e porto l’italianità in spogliatoio. Ero l’addetta alla musica, dovevo motivare le ragazze prima della partita e caricarle dopo. Il primo scudetto fu bellissimo e incredibile. Vinsero anche gli uomini e non dimenticherò mai i festeggiamenti in Municipio sul balcone davanti a 15mila persone». Una vita con la valigia che l’ha forgiata dandole un’impostazione dura e forte, senza toglierle un grammo del suo sorriso solare e aperto. «I sacrifici sono stati ripagati: per due anni mi allenavo e facevo esercizi a casa. Mi sono formata caratterialmente, mi reputo una donna diversa. Ho intrapreso un percorso personale e ho trovato delle risposte dentro di me. Sono uscita con un bagaglio micidiale, vengo vista come una bella persona. Sono voluta tornare perché mi ero indurita nei rapporti umani, i tedeschi sono chiusi e schematici e io ho bisogno di ridere e scherzare. Là sei risucchiata».
Mangiare sano
Come cura la sua femminilità? «Mangiando sano, ho capito che fa la differenza. Sono semplice, umile e, anche nel vestire, non amo essere stravagante o troppo in vista. Penso che la femminilità sia interiore e ora mi sento più donna. Mi trovo a pensare a una famiglia, a un figlio… Noi atlete siamo discriminate e io non ho una situazione stabile né economicamente né di coppia. Un uomo, per starmi vicino, deve stupirmi, odio l’abitudine. Ogni tanto mi manca, ma mi rendo conto che la prima cosa è essere felici con se stessi». L’omosessualità nello sport non è altro che un fattore culturale.
Il fattore culturale
«Sono molto aperta e mi ci sono imbattuta, ma guardo le persone come essere umani. Siamo tutti uguali e al tempo stesso unici e diversi, non mi baso su questo e non giudico al primo impatto, vado oltre. Non mi piacciono gli abiti preconfezionati». La forza delle donne? «Dobbiamo partorire e non è poco. La forza più grande è mentale e – se vogliamo – sappiamo anche accettare le violenze. Calcisticamente, abbiamo una dedizione e abnegazione totale, diamo il 100% in allenamento e in partita, gli uomini no». Non si ritiene vanitosa: «Per niente. Mi trucco raramente perché voglio vedermi con un altro aspetto. Sono una da camper e tenda, amo la natura e mi sono avvicinata alla meditazione. Sto con me stessa fuori dallo stress e mi colpisce tutto ciò che è energia». E’ felice e lo trasmette. In fondo ha realizzato il suo sogno.
Riassumendo il Raffa pensiero
«Lì per lì non te ne rendi conto. Appena l’hai fatto c’è il vuoto che ti aspetta e devi crearti nuovi obiettivi». Riassumendo il Manieri pensiero: «Anche se mi sono dovuta spostare per crescere professionalmente, i valori diffusi di benessere, movimento e spirito di squadra che distinguono la nostra comunità sono le mie radici». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico