PESARO - Caporalato e sfruttamento della manodopera: arriva il conto, sotto forma di maxi sequestro, ad un cinese e un pakistano arrestati il mese scorso dai carabinieri...
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Approfittando del loro stato di bisogno, li costringevano a turni massacranti, straordinari non pagati sotto minacce continue insulti e sopraffazioni; il tutto in cambio di stipendi da fame ben lontani dai minimi di legge e di rispetto della dignità umana che i dipendenti, tutti di etnia pakistana, la maggior parte richiedenti asilo erano costretti ad accettare per vivere. Un risparmio sui salari oltre che sugli investimenti in termini di sicurezza delle aziende che gli avrebbe permesso di tenersi in tasca circa €. 150.000 in due anni circa. Furono tratti in arresto nella tarda serata del 14 settembre da personale del Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro di Pesaro e Urbino su ordine di custodia cautelare del GIP di Pesaro poiché responsabili del reato di intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera (c.d. caporalato); ma nella giornata di sabato tutti gli indagati, ovvero i titolari della azienda esercente attività di ristorazione etnica ed il loro fidato dipendente, si sono visti presentare il conto dallo stesso Gip, il quale accogliendo la richiesta della Procura della Repubblica di Pesaro ha disposto il sequestro preventivo sui beni mobili ed immobili per un importo di circa €. 150.000 corrispondente all'equivalente per i profitti illeciti ricavati dallo sfruttamento dei lavoratori oggetto di sfruttamento. I Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Pesaro ed Urbino (operante all'interno del Ispettorato Territoriale del Lavoro di Pesaro), a seguito di minuziosi accertamenti patrimoniali condotti sugli indagati e disamina della documentazione di indagine in loro possesso, dopo l’esecuzione delle misure restrittive della libertà personale avvenuta a Settembre scorso, hanno messo così i sigilli a conti correnti, veicoli e quote societarie intestate agli indagati ed alla società. Ben 15 i casi di sfruttamento accertati tutti i cittadini di nazionalità pachistana di cui 11 richiedenti protezione internazionale che furono tutti sottoposti a condizioni alloggiative e di lavoro degradanti. Circa 400mila euro il profitto maturato consistente nel risparmio delle retribuzioni effettivamente dovute ai dipendenti da sommarsi all'evasione contributiva prodotta dalle cospicue ore di lavoro non denunciate. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico