Il cancelliere della Curia racconta la sua malattia: «Il Covid, un calvario da incubo, salvato dalla fede e dai sanitari»

Umberto Lorenzetti ha 60 anni
FANO -  Si succedono le testimonianza di chi ha visto la morte in faccia e per un misterioso gioco del destino e riuscito a tornare a sorridere. Particolarmente significativa...

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FANO -  Si succedono le testimonianza di chi ha visto la morte in faccia e per un misterioso gioco del destino e riuscito a tornare a sorridere. Particolarmente significativa è quella di Umberto Lorenzetti, colpito dal virus all’inizio del mese di novembre e ricoverato all’ospedale San Salvatore di Pesaro, dove le sue condizioni si sono aggravate sempre più, finché i medici sono riusciti a salvarlo. 

 


Umberto Lorenzetti è un fanese di 60 anni con un passato al servizio del Ministero della Difesa; ora è un ufficiale dei Carabinieri nella riserva e svolge l’incarico di cancelliere nella Curia di Fano. Ha compiuto studi di alta specializzazione tanto nella dottrina sociale della Chiesa, ottenendo il diploma alla Pontificia Università Lateranense, quanto in materia di gestione civile e militare delle crisi in ambito europeo e internazionale all’università di Roma Tre; ma questo è solo una piccola parte del suo percorso di studi che tra l’altro ha sondato materie in bioetica, in medicina della sessualità, in psicotraumatologia, in tematiche culturali dei Paesi dell’area mediterranea ed altro. Umberto si è ammalato come tanti, accusando i primi sintomi, interpretati come un banale segno di raffreddamento, senza mai immaginare gli sviluppi che sarebbero seguiti.


Via via però la tosse è aumentata, una tosse secca che nonostante le prime medicine, non dava segni di miglioramento. Vista dopo alcuni giorni l’inefficacia degli antibiotici, il medico di base ha segnalato il caso all’Usca che è intervenuta a fare il tampone, risultato purtroppo positivo; ma il responso della gravità della situazione lo ha rivelato la Tac che il giorno dopo ha diagnosticato una polmonite virale bilaterale molto estesa, accompagnata da una sempre maggiore difficoltà di respirazione. 


Così è incominciato il calvario. «Ricoverato in ospedale – evidenzia Lorenzetti – mi sono trovato a vivere un incubo: attorno a me si muovevano figure tutte bardate come se venissero da un altro mondo, nella mia stessa stanza si trovavano ammalati che versavano in condizioni anche peggiori delle mie e che respiravano a fatica; sapendo che anche io soffrivo della stessa patologia, la mia mente si offuscava di brutti pensieri. 


«Unico rapporto umano era quello dello sguardo, degli occhi che si incrociavano; purtroppo è accaduto che ad alcuni gli occhi si sono spenti per sempre. Io devo allo spirito di abnegazione dei sanitari, i quali tutti hanno dato il massimo, se il mio corpo è riuscito a superare questa terribile prova, dopo che anch’io sono giunto a un passo dalla morte e devo alla fede in Dio se a livello psicologico ho resistito a tale esperienza. 


«Come luogotenente dei carabinieri che ha prestato servizio per diversi anni a Pesaro, sono venuto a contatto con molte sofferenze umane, ma quella vissuta personalmente quando ho contratto il virus, non ha eguali». Forte di questa esperienza Umberto Lorenzetti rivolge un monito a tutte quelle persone che ancora oggi si comportano con leggerezza, a quelle che si raggruppano pericolosamente in casa o all’esterno, che non indossano la mascherina o che la indossano irregolarmente. Ancora non hanno la percezione dei pericoli che corrono.

 

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Corriere Adriatico