PESARO - «Ma davvero cercate me? Ma non sono io quello da intervistare: sentite i medici, gli infermieri, gli oss: sono loro gli eroi di questi giorni». Aurelio...
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Travolto dall’affetto, Aurelio Patregnani sta familiarizzando con ciò che è stato e ciò che adesso è: «Quando mi hanno ripetuto che sono un miracolato, una rarità, mi sono messo a piangere». Parla dal letto della stanza dove è confinato con il wi-fi che è la sua finestra sul mondo e che gli ha consentito di inviare un messaggio rassicurante: «Sono commosso per il tanto affetto ricevuto. Non ho potuto leggere nulla negli ultimi 10 giorni e sto capendo solo ora cosa sia successo: ancora tremo».
Già perchè tutto è iniziato con quella che si riteneva una banalissima influenza: «Verso la fine di febbraio ho iniziato ad avere la febbre - spiega - ma era l’unico sintomo che accusavo, non avevo nè tosse nè raffreddore. Prendevo la Tachipirina, la febbre scendeva e poi risaliva. E’ andata avanti così per giorni finchè non ho saputo che uno dei miei clienti, che avevo incontrato, era positivo. Quel sospetto mi ha spinto al Pronto soccorso: è stato il mio cavallo di Troia, in un certo senso, perchè appena ho comunicato i miei dubbi i sanitari mi hanno subito preso in consegna. Mi hanno fatto una lastra dove hanno visto lo stato dei polmoni e mi hanno ricoverato». L’ingresso nel tunnel della Rianimazione, la dimensione sospesa tra il fuori, il mondo esterno, e il dentro, a galleggiare in uno stato amniotico e ancestrale. Per Aurelio Patregnani il preludio a un ritorno. «Sono entrato in ospedale il 6 marzo - racconta - se tutto va bene non ne uscirò prima del 26 quando potrò tornare a casa e continuare la convalescenza». E rientrare in famiglia, dalla moglie Lucilla Venturi - figlia di Cesare, storico riferimento delle associazioni combattentistiche e del sodalizio Amici dell’Azienda Marche Nord - e dalla figlia adolescente. Quarantena anche per loro come da prassi. Ma adesso tutto è più semplice. «Non vedo l’ora di rivederle» commenta. La prima cosa che farà? «Quando potrò voglio abbracciare la mia famiglia: un abbraccio fortissimo, serrato. Me le voglio proprio tenere strette mia moglie e mia figlia. Mi mancano i loro abbracci». E la seconda? «Voglio ringraziare uno a uno i miei salvatori. E non voglio dimenticare nessuno. Sapevo della professionalità di Marche Nord e del personale, della loro bravura e abnegazione, ma ora voglio gridarlo al mondo». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico