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PESARO - Per 45 giorni, il mondo del cantianese Tony Matteacci, sessantenne operatore del sociale prossimo alla pensione, e della sua famiglia, si è ridotto alle dimensioni della sua casa, tra termometro e saturimetro. «Per stanchezza – ha scritto su un post affidato nei giorni scorsi a Facebook - su queste lunghe, inaspettate e pesanti giornate trascorse in compagnia del Covid non volevo scrivere nulla».
Questione anche di pudore «perché – spiega raggiunto al telefono – la mia malattia è stata davvero una piccola cosa. Una goccia se mi paragono agli altri e alla vita in generale». Però, dalla sua voce si intuisce che il Covid è stato un avversario temibile.
Al dolore fisico, alla paura che spinge, nonostante la guarigione, ad ascoltare costantemente il proprio corpo e «spesso a verificare – confessa Tony - la propria temperatura e l’ossigeno nel sangue», si aggiunge un’altra sofferenza: quella di sapere che «chi scrive e parla, dice senza dire, sono conoscenti e amici, persone della tua comunità e a cui vuoi bene». Niente da vedere con negazionisti o riduzionisti, ma persone che veicolano in modo diffuso e trasversale quel “sarà vero?” altrettanto lesivo e distruttivo. «Non vogliono rendersi conto – osserva Tony - che nessun luogo “sociale” è davvero sicuro, ma che può essere meno insicuro solo se noi lo rendiamo tale, con i nostri comportamenti, portando con noi il rispetto per la salute e la vita degli altri. Questa roba c’è e può far male davvero. Si combatte con la pazienza, il rispetto, l’attenzione, la bellezza di sentirsi parte solidale di una comunità. E si combatte con più umiltà, meno saccenza, contrastando arroganze e gusto della sentenza. Mi piace – conclude - chi sceglie, con cura, le parole da non dire».
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Corriere Adriatico