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ANCONA - Sos Usca. In piena quarta ondata, scarseggiano le Unità speciali di continuità assistenziale, attive sul territorio dall’aprile del 2020, che si occupano dei pazienti contagiati dal Covid a livello domiciliare. E nelle Marche sono oltre 7.200 le persone in quarantena con i sintomi.
Se nei picchi pandemici del 2021 le Marche erano arrivate ad avere 34 equipaggi operativi nelle cinque province, adesso il numero è sceso a 22. In Consiglio regionale, rispondendo ad un’interrogazione del Movimento 5 stelle, l’assessore alla Sanità Filippo Saltamartini ha annunciato che sono «in via di potenziamento», ma il problema di fondo resta: i fronti da coprire nella guerra al virus sono tanti ed il personale medico chiamato a gestirli è sempre lo stesso. Difficile, così, arrivare dappertutto. Dei 22 equipaggi – ogni equipaggio è composto da due medici – che al momento stanno coprendo l’intero territorio regionale, 5,5 sono nell’Area vasta 1 di Pesaro Urbino, nove nell’Av2 di Ancona, tre nell’Av3 di Macerata, 2,5 nell’Av4 di Fermo e due nell’Av5 di Ascoli Piceno.
Le differenze
Nei dati in cui è presente la virgola, si fa riferimento ai mezzi turni, quando invece di 12 ore ne fanno sei, come nel caso dei prefestivi. «Il servizio Usca nella nostra regione viene rimodulato a seconda delle necessità organizzative per la gestione del Covid – ha fatto presente Saltamartini in aula –.
L’organizzazione
Le Usca rappresentano la sottile linea rossa tra la cura tra le mura domestiche ed il ricovero in ospedale, con un monitoraggio costante ed una terapia declinata sui singoli soggetti. Sono loro a stabilire se un contagiato che presenti sintomi sia candidabile all’utilizzo degli anticorpi monoclonali o a cure domiciliari come la pillola anti Covid. «La criticità maggiore è proprio questa – spiega il dottor Massimiliano Luzi, dell’Usca di Ancona Centro –: intercettare i pazienti candidabili ai monoclonali ed al Molnupiravir (la pillola anti Covid, ndr) perché con questa incidenza molto alta, il medico di medicina generale deve essere molto bravo a capire subito chi può riceverli. Sono terapie con timing molto preciso e restrittivo, dunque prima si inizia, meglio è. Il Molnupiravir in particolare, che deve essere preso entro 5 giorni dall’esordio dei sintomi. Per i monoclonali, invece, parliamo di 10 giorni». Luzi conferma che, «clinicamente, i vaccinati vanno meglio, quindi le ospedalizzazioni riguardano soprattutto pazienti non vaccinati» e fa un appello: «non assumete cortisone nelle prime fasi della malattia, può solo peggiorarne il decorso. Fatelo solo su consiglio del medico».
m. m.
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Corriere Adriatico