Hanno rubato 300mila euro alla Ubi ma hanno lasciato i manoscritti di Leopardi

Hanno rubato 300mila euro alla Ubi ma hanno lasciato i manoscritti di Leopardi
PIEVE TORINA - C’erano anche i manoscritti di Leopardi che erano esposti nel museo di Visso prima del terremoto, dentro le cassette di sicurezza del caveau della...

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PIEVE TORINA - C’erano anche i manoscritti di Leopardi che erano esposti nel museo di Visso prima del terremoto, dentro le cassette di sicurezza del caveau della filiale di Ubi Banca a Pieve Torina, dove il 3 gennaio scorso si è consumata una rapina dal bottino di oltre trecento mila euro. Per fortuna i ladri non li hanno presi, altrimenti il patrimonio culturale italiano avrebbe subito un danno incalcolabile. C’è anche una copia autentica dell’Infinito, la più nota poesia del grande poeta recanatese, tra il materiale che il Comune di Visso aveva messo al sicuro, una trentina di manoscritti autografi del Leopardi che costituivano il cuore dell’esposizione museale, confidando nell’inviolabilità dell’edificio in cemento armato che ospita la banca. 


Lo stabile era rimasto intatto dopo il sisma, tanto che numerosi terremotati di Visso, Ussita, Pieve Torina e dintorni, lo avevano scelto per custodire i loro ricordi più cari, sfuggiti alla distruzione del terremoto, ma non alla malvagità dell’uomo, con i malviventi che hanno razziato senza pietà quel venerdì mattina oggetti preziosi, contanti ed altro materiale, dopo aver sequestrato sotto casa l’unico dipendente della banca in servizio, Francesco Dell’Erba. «I manoscritti leopardiani erano nel caveau della banca Ubi di Pieve Torina - ha detto il sindaco di Visso Gian Luigi Spiganti Maurizi -, il loro valore è incommensurabile, ora sono stati spostati in un’altra banca al sicuro. Si tratta di reperti difficilmente commerciabili. Per fortuna non sono stati presi, né danneggiati». I ladri probabilmente non si sono resi conto di avere davanti reperti storici scritti a mano da Giacomo Leopardi e soprattutto una delle sole due copie autografe dell’Infinito, di cui l’altra si trova a Napoli, oppure sono rimasti increduli ed essendo consapevoli che si tratta di beni difficilmente vendibili sul mercato, hanno rinunciato a portarli via.  Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico