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MACERATA - E’ andata un pochettino per le lunghe ma alla fine la sentenza comunque, prima o poi arriva. La questione oggetto di un ricorso al giudice del lavoro nasce tra la camera operatoria e un reparto dell’ospedale di Macerata: secondo la denunciante, un’infermiera in servizio nel nosocomio del capoluogo maceratese, il primario la faceva oggetto di vessazioni ed umiliazioni sia di fronte ai colleghi che di fronte ai pazienti. Si parla di qualche “vaffa” ed altro di troppo.
La donna appunto decide di chiamare in causa il datore di lavoro, l’Asur, e ricorrere al giudice del lavoro del Tribunale di Macerata chiedendo il risarcimento dei danni subiti per l’azione del primario, ventimila euro.
L’infermiera fa appello e siamo arrivati al 2018, il giudice di Appello del Tribunale di Ancona riforma la sentenza di primo grado ed accoglie parzialmente il ricorso dell’infermiera vessata dal primario: le riconosce diecimila euro per i danni e cinquemila euro circa di spese legali, poi - e siamo ai giorni nostri - arriva la liquidazione del compenso professionale dell’avvocato di parte Asur e sono altri cinquemila euro. Siamo a ventimila. Quindi, ricapitolando: c’è un primario che manda a quel paese, pare in più occasioni, un’infermiera, la direzione ospedaliera non interviene, l’infermiera denuncia la sua azienda e viene risarcita. La domanda è? Alla fine chi paga? Il contribuente che si aspetta che in ospedale si eroghino servizi sanitari e non vaffa? Non è noto, in determina non c’è scritto, se l’Asur regionale abbia fatto, o avviato, un’azione di rivalsa nei confronti del primario in questione o di chi sarebbe potuto intervenire e non lo ha fatto, almeno non in tempo utile.
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