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Basta davvero poco per portare la magia in tutto quello che facciamo e trasformare una banale routine in qualcosa di straordinario. Un tocco di profumo, un pensiero positivo oppure, come suggeriva la bambinaia più famosa della storia del cinema e del musical, un poco di zucchero, in grado persino di indorare la pillola più amara e rendere accettabile il più antipatico dei compiti. Poco davvero: per cambiare prospettiva, per insaporire la vista e rendere la vita una scoperta sensazionale.
Un tocco aggraziato, che abbia la forza e la potenza di innescare quel viaggio di scoperta che, nella cucina del suo ristorante di Civitanova, chef Massimo Garofoli porta in tavola attraverso piatti che raccontano tanto di sé e di un amore sconfinato per l’arte a tutto tondo, che declina in cucina così come nella musica jazz che ascolta o nell’idea più alta di creatività che coltiva.
La convinzione
La convinzione è granitica e l’emozione nel raccontare quell’ingrediente segreto si fa palpabile, in un viaggio a ritroso che porta lo chef alle ore insospettabili passate con mamma Gabriella a preparare dolci: «La sua specialità erano i ciambelloni, come tradizione comanda - comincia - ricordo con dolcezza quei pomeriggi in cui lei confezionava queste piccole grandi opere e io le stavo accanto, prima solo come spettatore e, poi, a cimentarmi anche io con uova e farina.
Quel momento lì, impalpabile e veloce, è uno di quegli attimi in grado di imprimere alla vita una svolta netta, sebbene con la dolcezza di un’epifania che si fa aurora e poi alba, flebile intuizione prima e meraviglioso chiarore poi. Un attimo circoscritto, che l’uomo di oggi ricorda alla perfezione: «Ho vissuto l’infanzia con la convinzione che, da grande, avrei fatto l’architetto - confessa Massimo - vuoi per il fatto che mio padre, muratore, avesse una ditta edile, vuoi per quella creatività che in qualche modo è scorsa sempre nelle mie vene in maniera più o meno carsica, ma il mio destino era già deciso. Fino al giorno in cui, in terza media, misi piede all’istituto alberghiero di Tolentino: fu decisamente amore a prima vista. Rimasi così tanto colpito da quella realtà da volermi iscrivere subito, in barba all’architettura e a un destino che sembrava quasi scritto».
A insaporire un piatto così gustoso, sono arrivate tante esperienze in giro per l’Italia e nel mondo, brigate di ogni dove, chef stellati e riconoscimenti scolpiti nel cuore. Ma, più di tutti, si è fatta strada un’idea fortissima, «la convinzione che in cucina la creatività è tutto» sancisce Garofoli.
Una consapevolezza giunta a suon di musica: «Era il 1997 quando con lo chef Guido Iosa, con cui allora lavoravo all’Osteria della Vigna a Gabicce Mare, misi piede per la prima volta all’Umbia Jazz. Fu la seconda epifania della mia vita: sentire come, partendo da una melodia nota e con la sola forza dell’improvvisazione, i musicisti creavano arte e meraviglia sempre inedite e sorprendenti mi fece capire che in cucina, con ingredienti di qualità, potevo creare piatti dal sapore nuovo e diverso, amplificato al massimo e mai scontato. Una convinzione rinsaldata otto anni dopo di fronte alla mostra su Picasso visitata con il collega Michele Alesiani quando andammo in Spagna per mangiare dal grande Ferran Adria’: vedere come l’immenso pittore avesse creato così tante sue reinterpretazioni del celebre dipinto La Sagrada Familia di Velazquez, mi fece capire che tutto può essere rielaborato, stravolto e reso ancora più sorprendente. Mi dissi che anche io dovevo fare la stessa cosa che Picasso aveva fatto con il quadro del suo predecessore e capii che, per rendere davvero mia la mia cucina, dovevo ispirarmi all’arte che sta oltre i fornelli e portarla nei miei piatti».
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Corriere Adriatico