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MONTE URANO - S’è resa conto troppo tardi, Eleonora Cossidente, di essersi fidata delle persone sbagliate. Quando l’ha fatto, stava per essere intubata nel reparto di Terapia intensiva dell’ospedale Murri di Fermo, dov’è morta «per complicanze da Covid» quattordici giorni dopo, il 17 gennaio. Poco prima, ha raccolto le idee e ha scritto una lettera-testamento alla figlia maggiore. In cui le chiedeva perdono e riconosceva di aver sbagliato a non averle dato ascolto.
Non s’era voluta vaccinare, la 66enne di Monte Urano, nonostante la figlia glielo avesse suggerito mille volte. Ma lei si fidava più della rete e dei tanti che spingevano l’attenzione sui rischi legati ai vaccini. Quelli che la invitavano a non preoccuparsi, assicurandole che l’avrebbero curata loro, perché in ospedale l’avrebbero uccisa. E lei li ha ascoltati, per ricredersi solo quando, ormai, era troppo tardi.
Adesso, a distanza di alcuni giorni dal dramma, è la figlia a voler raccontare la sua storia.
«Dopo tre giorni di sofferenze, siamo riusciti a farla ricoverare dall’Usca (Unità speciale di continuità assistenziale). In ospedale non ha rifiutato le cure, ma non c’è stato più niente da fare. Dopo quattordici giorni di Terapia intensiva, è morta davanti ai miei occhi», racconta la figlia. Il Covid, Eleonora, che faceva la casalinga, l’aveva preso aiutando un anziano che non aveva da mangiare.
Gli portava zucchero e farina e, a Natale, per non farlo restare solo, l’aveva invitato a pranzo a casa sua, «perché mia mamma era così: sana, bella, dolce e gentile, con ancora tanta vita davanti e, anche se non aveva grosse possibilità, cercava di aiutare sempre tutti». Come l’uomo, «che era positivo», a cui aveva offerto un posto alla sua tavola in un giorno speciale. È in quell’occasione che si sarebbe contagiata. «Non aveva patologie, ma non era vaccinata. Era una no vax. Era stata convinta da questi personaggi che girano in rete e che chiedono anche soldi», spiega la figlia, che s’è rivolta a un avvocato «perché questa gente non deve restare impunita». In casa, delle idee di Eleonora si parlava spesso. Capitava che mamma e figlia discutessero, poi ognuna restava sulla sua posizione. «Mi diceva che ero una pecora, che vivevo in una bolla. Le hanno fatto il lavaggio del cervello. Questa è istigazione al suicidio», dice Elisa.
Solo poco prima di morire, Eleonora s’è resa conto di essersi fidata delle persone sbagliate e ha scritto una lettera «molto struggente» alla figlia, per chiederle scusa e per dirle che s’era pentita di non averla ascoltata. Aveva capito, secondo quanto racconta la figlia, di aver sbagliato. Quella stessa figlia che aveva provato in tutti modi a farla ragionare e che non è più riuscita ad abbracciare. La stessa ancora che, adesso, lancia un appello «alle altre persone che hanno vissuto la mia stessa esperienza e che vogliono denunciarla, perché io non mi fermerò qui».
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Corriere Adriatico