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Il dato andrebbe analizzato e soprattutto suddiviso tra chi lavora per le griffe del lusso e chi, invece, ha un proprio marchio. Basta che una griffe trasferisca la logistica (nemmeno la produzione) da un territorio ad un altro per scompensare i dati. Oppure un nuovo insediamento di un grande marchio porterebbe in dote numeri tali da far cambiare le statistiche. L’anno scorso, secondo i dati diffusi da Assocalzaturifici, la provincia di Fermo ha prodotto verso l’estero un fatturato di 687 milioni di euro. Ciò permette a Fermo di occupare la quarta posizione assoluta nella classifica provinciale italiana. Fermo vale la metà dell’export regionale.
I numeri
«A livello macro, i numeri evidenziano una forte crescita dell’export calzaturiero. Ma se guardiamo le aziende, almeno quelle che fanno affidamento sul proprio marchio, la situazione è ben diversa. Alcuni singoli mercati sono in difficoltà. Non parliamo di Russia e Ucraina quanto della Germania. Per cui sono numeri che andrebbero analizzati e calati nel contesto territoriale» commenta Valentino Fenni, presidente dei calzaturieri fermani di Confindustria. «Probabilmente c’è una maggiore polarizzazione tra le griffe e la filiera dei terzisti che vanno bene e le altre aziende che invece crescono meno. Un divario sempre più marcato che non consente una corretta lettura dei dati» spiega l’imprenditore di Grottammare.
È un esempio che abbiamo già visto nel settore farmaceutico. Nel 2022 Ascoli Piceno è diventata la prima provincia italiana per export grazie al fatto che lo stabilimento ascolano di Pfizer ha iniziato a produrre per tutto il mondo il Paxlovid, la compressa anti-Covid dal prezzo unitario di svariate centinaia di euro. Per cui se fino al 2021 Ascoli era al settimo posto nella graduatoria provinciale dell’export farmaceutico, l’anno scorso è volata in testa, raggiungendo quasi otto miliardi di vendite e moltiplicando per sei il dato dell’anno precedente. Nella tabella regionale calzaturiera del 2022, invece, troviamo che il valore dell’export verso la Cina è raddoppiato. Una performance sicuramente generata dal flusso verso Pechino dei prodotti griffati.
«Il rischio è che senza una corretta interpretazione dei dati, gli enti locali marchigiani, le istituzioni e le associazioni possano compiere delle valutazioni non aderenti alla realtà. E magari prendere dei provvedimenti che non rispecchiano le necessità delle imprese» conclude lo stesso Fenni. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico