FERMO - «Anche le avessero dato trent’anni, non avrei riavuto indietro mia moglie. Ma questa è una vergogna». Sono un mix di rabbia, amarezza e delusione...
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Un pomeriggio di quasi un anno e mezzo fa Adriana Paniccià, che aveva 73 anni, stava attraversando la strada davanti casa. Era sulle strisce pedonali quando l’auto guidata da una donna di Fermo l’ha centrata, sbalzandola a diversi metri di distanza. Sull’asfalto nessun segno di frenata. «Si tratta di omicidio stradale – dice Zampacavallo –, per il quale la legge prevede da due a sette anni di reclusione, da estendere fino a diciotto. Invece, il giudice ha concesso le attenuanti generiche e la pena base, che è di due anni, è stata diminuita a un anno e quattro mesi, poi diventati, con il patteggiamento, dieci mesi e venti giorni, col beneficio della sospensione condizionale». «La sentenza – prosegue – ha stravolto completamente la legge. Senza contare che, l’esiguità della pena comminata potrebbe indurre la gente, e soprattutto i giovani, a fregarsene del vivere civile e dell’assumersi responsabilità e rispetto per la vita degli altri». Nel processo, la famiglia ha deciso di non costituirsi parte civile, «perché – spiega l’uomo – abbiamo sempre creduto nelle istituzioni e perché non avevamo lo spirito per rivivere in tribunale il nostro dramma». Ma questo, aggiunge, «non era certo un’autorizzazione a non condannare chi ha ucciso Adriana e a portare avanti un processo che definisco una farsa». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico