Fermo, parla la mamma di Filippo La donazione, un atto di amore

Fermo, parla la mamma di Filippo La donazione, un atto di amore
FERMO - Dal precipizio della tragedia alla luce della vita donata. Forse sembra esagerato definirla “gioia” ma mamma Laura la chiama proprio così. Il suo...

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FERMO - Dal precipizio della tragedia alla luce della vita donata. Forse sembra esagerato definirla “gioia” ma mamma Laura la chiama proprio così. Il suo piccolo Filippo fino alla scorsa settimana correva per casa, la riempiva con la sua vivacità, come solo i bambini sanno fare. Ora vive in altri quattro bimbi, più o meno della stessa età, le cui famiglie aspettavano, forse con poche speranze, forse anche con una certa rassegnazione, di poter procedere ad un trapianto di organi. 


«Io e il mio compagno Pedro - racconta Laura Pennesi - avevamo per caso, guardando un programma televisivo qualche tempo fa, parlato dell’argomento della donazione. Se ci trovassimo nella condizione di scegliere cosa faremmo? Ci eravamo chiesti, così, tanto per discutere. E entrambi convenimmo che avremmo donato». Dopo una settimana di rianimazione, l’altro ieri, il loro bambino di 22 mesi, finito in coma dopo che la scorsa settimana era sfuggito alla nonna cadendo nella piscina coperta da un telo di una casa inagibile di Penna San Giovanni, ha cessato di vivere. Encefalogramma piatto, morte cerebrale e genitori messi di fronte alla scelta più crudele e difficile: donare sì o no. «Abbiamo detto sì, convinti che fosse la cosa giusta da fare in quel momento. Quando Filippo è entrato in sala operatoria, l’obiettivo principale era salvare il suo cuoricino. Per un genitore, il cuoricino del suo bimbo è, anche simbolicamente, la cosa più cara, non so come spiegarlo... E non era detto che fosse possibile espiantarlo, non si sapeva quanto avesse sofferto per via di quanto accaduto». 
Sugli altri organi era rimasto un alone di incertezza. «Quando al termine dell’intervento i medici ci hanno detto che il cuore era andato a buon fine, a salvare un bimbo di Bergamo, ma che anche il fegato era compatibile con quello di un bimbo di Roma, in attesa di trapianto. E poi i polmoni, uno a Bari e l’altro a Milano, non so come spiegare... ho provato gioia, è stato come ricevere una carezza. Non auguro a nessuno di vivere quello che stiamo vivendo noi, spero che non capiti mai più, ma vorrei che la nostra esperienza potesse far cambiare idea a chi ancora ha dubbi sulla donazione».


In effetti la scelta di donare gli organi in momenti drammatici come quelli della morte di un familiare non è così scontata come sembra, anzi. Sono più quelli che optano per il no, che hanno delle riserve in tal senso. «Personalmente - conclude Laura - vorrei, un giorno, tra dieci, quindici anni, se mai ci sarà questa possibilità e se loro vorranno, incontrare i quattro bimbi che oggi hanno avuto un’altra speranza di vita grazie a Filippo. Allargherebbero la mia famiglia, sarebbe un grande regalo». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico