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FERMO - L’Area di crisi complessa ha mostrato tutti i suoi limiti e la Zona economica speciale è di la da venire. L’economia di un territorio è alla ricerca di aiuti, la calzatura vuole orientarsi per sapere quale strada prendere per poter sopravvivere. Nessuno sembra più credere nello strumento della Acc-Area di Crisi Complessa che però è l’unico attivo ora. Non ci crede nemmeno la Regione che dovrebbe finanziarla. Ancona punta alla Zes-Zona Economica Speciale.
L’incontro in Confindustria
L’assessore regionale Guido Castelli, nel corso di un incontro organizzato da Confindustria Centro Adriatico ormai un mese fa, disse chiaramente come per la parte della Acc che attraverso la legge 181/89, gestita da Invitalia, con agevolazioni per progetti superiori a 1 milione di euro: «La risposta ricevuta dal territorio non è stata convincente». È stata viceversa convincente quella parte, finanziata dalla Regione, che prevede progetti di importo inferiore a 1 milione di euro e più a misura di tessuto produttivo locale.
Le osservazioni
Nello stesso incontro, Moira Canigola, presidente della provincia di Fermo osservò come «l’Acc ha avuto dei tempi troppo dilatati tra progettazione e realizzazione». La stroncatura arriva anche dalle associazioni: «Come tempistica, e anche come tipologia di strumento, a conti fatti, ad oggi, questa misura è stata poco incisiva nel risolvere dei problemi che purtroppo stanno diventando cronici» è il pensiero di Alessandro Migliore, direttore Cna Fermo. Il rischio però è quello di assistere ad un’area di crisi complessa depotenziata e non finanziata e di dover aspettare anni prima di vedere una Zes operativa ed efficace per l’economia territoriale. «Mi auguro che la Regione pensi almeno a chi ha perso il lavoro e si impegni ad incrementare la dotazione finanziaria per gli ammortizzatori sociali in deroga e per le politiche attive sul lavoro» afferma il dirigente della Cisl Fermo Alfonso Cifani che fa riferimento anche a ciò che è accaduto di recente nella provincia di Ascoli Piceno: 3 anni in deroga di ammortizzatori sociali e di politiche attive. «La Regione deve dimostrare di credere nel territorio» incalza Cifani secondo cui «se la precedente amministrazione regionale ha scontato anche il fatto di non aver creduto alla ACC, l’attuale amministrazione rischia di fare la stessa fine girando la testa dall’altra parte».
La posizione debole
Gli imprenditori calzaturieri temono che questa situazione di stallo possa aggravare la loro posizione economica, già debole. Se da un lato sono allettati dalla Zes, dall’altro chiedono misure più tempestive. «Abbiamo bisogno di un pezzo di pane ora e nel prossimo anno e non ci interessa mangiare una bistecca tra 4 anni» è la metafora usata da Valentino Fenni, reggente di Confindustria Centro Adriatico e vice presidente Assocalzaturifici, che fa il punto delle richieste della categoria: «La decontribuzione del 30%, come quella che prevede il decreto “Resto al Sud” è fondamentale non solo per la calzatura ma la Regione non ha potere decisionale. Ora ci sono i soldi che dovrebbero arrivare dall’Europa e che la Regione deve saper impiegare. Cosa vogliamo? Abbiamo bisogno di chiarezza per poter guardare al futuro con maggiore serenità. E no ad interventi spot». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico