Le aziende e lo smart working, una storia tutta da declinare

Lo smart working è una pratica sempre più diffusa
È tempo di tornare al lavoro. Un mondo del lavoro che sta cambiando sia nell’organizzazione che nella tipologia, anche in risposta all’emergenza sanitaria. Il...

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È tempo di tornare al lavoro. Un mondo del lavoro che sta cambiando sia nell’organizzazione che nella tipologia, anche in risposta all’emergenza sanitaria. Il lavoro a distanza, lo smart working, prevalentemente svolto da casa ha permesso di sperimentare una serie di vantaggi impensabili solo qualche mese fa.

Ora, superata l’emergenza grazie ai vaccini, molte aziende stanno rivendendo questa organizzazione e ritornando al passato. Certo vi sono mansioni e attività che non possono essere svolte a distanza ma tante altre si, perché ritornare indietro? Recentemente Goldman Sachs e JPMorgan hanno imposto a tutti i propri collaboratori di ritornare a lavorare in presenza, di fatto rischiando di pendere i collaboratori più qualificati, più competenti a cui piace lavorare da casa.

Da un recente sondaggio pubblicato su Harvard Busines Review alle persone piace lavorare da casa almeno 2,5 giorni a settimana e nel mercato del lavoro americano, aperto e dinamico, il 40% degli intervistati inizierebbe a cercare un altro lavoro o smetterebbe immediatamente se gli venisse ordinato di tornare in ufficio a tempo pieno.

Gli autori dell’articolo suggeriscono alle aziende di prendere atto del nuovo mercato del lavoro e di adattarsi; tra le tantissime aziende che hanno sperimentato il lavoro a distanza, meno del 20% prevede di tornare a tempo pieno in ufficio dopo la fine della pandemia. Il modello ibrido proposto dalla Apple con soli tre giorni in ufficio: lunedì, martedì e giovedì potrebbe essere un modello da valutare.

È ampiamente dimostrato che quanto accade negli Stati Uniti si trasferisce dopo pochi anni in Italia, lo è stato per la Ruota della Fortuna negli anni 80, lo sarà anche per il lavoro a distanza. Anche da noi vi sarà una resistenza a tornare ad attività totalmente in presenza. In una ripresa economica che si sta profilando, sarà importante poter contare su capitale umano competente e qualificato e se questo preferisce continuare l’esperienza del lavoro da casa è bene che le imprese ne prendano atto, altrimenti corrono il rischio di perderlo.

Forse il modello ibrido potrebbe essere la soluzione. Questa nuova organizzazione potrebbe anche rilanciare e rigenerare i nostri bellissimi paesi dell’entroterra dove alta è la qualità ambientale e paesaggista e dove si potrebbe scegliere di vivere e lavorare con imprese anche molto distanti. Lo smart working potrebbe rianimare i piccoli borghi avviando un circolo economico virtuoso, più abitanti nei piccoli comuni, più bar, più ristoranti, più idraulici, più elettricisti, più parrucchieri e falegnami, più teatro e cultura.

Su questa prospettiva si inserisce la proposta di legge avviata dall’Anci Lazio, per promuovere e incentivare lo smart working nei borghi. La proposta prevede una nuova e più versatile definizione di smart working, una maggiore garanzia dei servizi essenziali e incentivi per favorire la migrazione verso i piccoli comuni anche attraverso una valorizzazione delle attività locali e artigianali. Incentivi alle amministrazioni comunali per ristrutturare i propri edifici e creare spazi di coworking.

Se si vogliono attrarre giovani e famiglie, è necessario garantire servizi di qualità a partire dalla scuola, attraverso organizzazioni e infrastrutture adeguate ai tempi a partire da quelle digitali, con una capillare diffusione della fibra ottica. Sviluppando anche una assistenza sanitaria di qualità che possa contare su infrastrutture di telemedicina integrate con le strutture sanitarie e la medicina territoriale. Perché non proporre un progetto su queste prospettive per anticipare il futuro?

La nostra Regione, ricca di piccoli borghi, ha bisogno di rilanciare le aree interne con attività economiche e produttive che potrebbero trovare nello smartworking il catalizzatore per avviarle. Iniziative da integrare con una necessaria riforma della pubblica amministrazione che consenta di federare i comuni più piccoli, aggregandoli in strutture stabili, snelle ed efficienti, per la gestione degli aspetti tecnico amministrativi. Perché nelle Marche non si fa nulla per sostenere queste iniziative? Stiamo perdendo una occasione irripetibile.

* Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione


Facoltà di Ingegneria Università Politecnica delle Marche Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico