Quando siamo noi umani a pensare come ChatGPT

Quando siamo noi umani a pensare come ChatGPT
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Questo pezzo e poi la pianto con ChatGPT, giuro. Questo pezzo per far trilogia, oggi si fa trilogia d’ogni cosa d’ogni storia, non vedo perché dovrei risparmiarvi una mia trilogia Gippittì, ve la siete meritata di sicuro: grazie a qualche crimine commesso in una vita precedente. Il terzo - e per un pezzo ultimo - articolo nasce dalla ennesima notizia riguardante il chatbot che in due mesi di vita s’è conquistato il centro della scena mondiale. L’ho letta su Wired, che a sua volta l’ha ripresa dalla Reuters. Dunque, sul Kindle Store di Amazon sono presenti circa 200 libri il cui autore è il torrenziale Gippittì. Attenzione: 200 testi dichiaratamente scritti dell’intelligenza artificiale.

È possibile anzi probabile anzi praticamente certo che tale numero sia assai più elevato: libri firmati da Pinco Pallo in Carne e Ossa, il quale in realtà si è limitato a fornire all’infaticabile, servizievole Gippittì qualche dritta di massima e ad apporre la firma, al più avendo riletto il tutto e corretto un par di frasi. Testi del genere, testi composti dallo sfruttato e della firma derubato Gippittì, ne sono arrivati in quantità a riviste e case editrici. Come scrive, oggi, Gippittì? Quanto è creativo? Gli ho commissionato una serie di racconti gialli incentrati sulla figura del detective Jack dalla sigaretta sempre accesa (un clone di Marlowe, via) alle prese con vari delitti: d’un giapponese, di un gattino, cose così, informazioni ridotte all’osso.

Ecco il giallo del delitto della ragazzina dai capelli rossi. Lo riporto con qualche taglio: migliorativo, credetemi. «Il detective Jack era seduto al suo tavolo fumando la sua solita sigaretta mentre cercava di trovare qualche indizio sul caso della ragazzina dai capelli rossi, uccisa in una notte d’estate. Aveva interrogato tutti i sospetti ma non era riuscito a trovare nulla che potesse collegarli all’omicidio. Ma poi notò qualcosa d’insolito sulla foto della scena del crimine: un ramoscello spezzato vicino corpo della vittima. Jack aveva già visto quel ramoscello spezzato in un’altra scena del crimine, quella di un furto in una gioielleria, commesso da un ladro che aveva lasciato un segno distintivo simile. Senza perdere tempo, Jack cominciò a cercare (consultare, maybe?) i registri dei criminali per il furto in gioielleria (qualsiasi cosa significhi). Alla fine trovò l’uomo giusto, Joe (e mi sveli il colpevole in modo così piatto, Gippittì?). Dopo un’intensa interrogazione (sic) Joe confessò di aver ucciso la ragazzina accidentalmente durante un tentativo di rapina. Aveva cercato di nascondere la sua colpa, ma il ramoscello spezzato era stato la sua rovina». Questo è quanto prodotto dal chatbot in pochi secondi. Gli altri racconti non erano né meglio né peggio. Ora, sfottere Gippittì e i suoi sforzi letterari è fin troppo facile. Lo stile sta a zero, la suspense pure, l’intreccio più che semplice è scheletrico, qualche riga di dialogo sarebbe stata quanto mai opportuna, la caratterizzazione del detective si limita alla sigaretta imposta da me, il ramoscello spezzato fa (malamente) il verso alle varie firme di tanti fuorilegge della letteratura, e non manca lo sfondone totale, la confusione fra interrogatorio e interrogazione.

Diciamo che nessun editore serio pubblicherebbe mai una roba del genere. Che gli scrittori possono stare tranquilli, e così i giornalisti: Gippittì al momento non è in grado di rimpiazzarci. Troppo maldestri i suoi sforzi. Leggere le dodici raffazzonate avventure del detective Jack fumatore che Gippittì neonato ha sfornato su mia richiesta senza mostrare la minima esitazione è stato esilarante. Quel che non mi fa ridere è il fenomeno inverso. Ripenso agli innumerevoli film, niente affatto raffazzonati, di fattura impeccabile piuttosto, e però tutti uguali che mi capita di vedere. Agli innumerevoli volumi aperti per curiosità in libreria e subito richiusi, lette poche righe di prosa inodore incolore insapore, prosa inesistente. Penso a tutte le volte che nel corso di una discussione ci accade di dire «io penso» e in realtà non stiamo pensando affatto, stiamo ripetendo idee ricevute, predigerite. Ecco la cosa inquietante: quando siamo noi umani a comportarci come Gippittì.


*Opinionista 
e critico cinematografico
Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico