Appena sbarcata dalla nave di Colombo, la patata è andata subito di moda e tuttora rimane tra le favorite. Quest’anno, in Italia, il consumo del prodotto fresco...
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Antonio Fainelli dirige un’azienda agricola a Serravalle del Chienti e, con altre quattro aziende, fa parte della cooperativa agricola “La Rossa di Colfiorito”. Ad 800 m di quota producono l’unica patata Igp delle Marche. «Avendo anche allevamenti- spiega – ed un’ottimale rotazione colturale dei terreni coltivati, usiamo concimi naturali. Quest’anno abbiamo raccolto solo 3mila quintali di patate. Un 20% in meno. Colpa delle piogge di primavera che hanno provocato una semina tardiva e della siccità». Hanno contratti con la distribuzione organizzata che chiede di un prodotto uniforme che dipende dall’irrigazione. «Purtroppo dobbiamo confrontarsi con il contingentamento dell’acqua imposto dalla regione». E ciò in un’area in ginocchio dal sisma dove l’economia basa il suo rilancio sulle lenticchie e le patate.
Gli indennizzi non bastano
Francesco Fortuni, terza generazione di un’azienda agricola che gestisce 27 ettari nel Parco regionale dei Monti Sibillini e presidente di Agrimercati Coldiretti Ascoli Fermo, produce patate a Montemonaco. E’ partner di Patasibilla, società agricola composta da quindici aziende tra Montemonaco, Montegallo, Montefortino e Comunanza che promuovono le coltivazioni locali e, nello specifico, puntono alla trasformazione in gnocchi della “Kennebec”, patata a pasta bianca americana giunta in Italia con il piano Marshall che si conserva fino all’inizio di primavera. «Con le castagne, le patate sono l’altro secolare albero del pane nella nostra tradizione – commenta -. Quest’anno purtroppo ho raccolto meno di un terzo dei 150 quintali di patate dell’anno scorso. Subisco le conseguenze del cambiamento climatico che quest’anno con la siccità ha provocato un calo della produzione e patate più piccole. Ma più di tutto subisco i danni da fauna selvatica. L’indennizzo del Parco non è sufficiente – incalza – perché non riesce a compensare la perdita di fiducia dei clienti in noi agricoltori. Lavoriamo in un settore di nicchia difficile da conquistare, se poi non riusciamo a rispondere alle richieste, perdiamo i clienti. E per questo tipo di perdite, non ci sono indennizzi».
Investiamo nel futuro
Tommaso Fabrizi, tecnico agronomo della Copagri di Ascoli, affianca suo padre David nella gestione dell’allevamento di bovini e degli 80 ettari dedicati alla loro alimentazione. «Salvo alcuni terreni – precisa - che dedichiamo in rotazione al mais otto file e alle patate che danno un importante valore aggiunto al reddito dell’azienda. Mentre altrove la patata non supera i 30 centesimo al chilo, quella di montagna conquista 1 euro, anche 1,50. Oggi esistono macchinari piccoli che vanno anche nei luoghi scoscesi. Necessitano investimenti tra i 5 e i 12mila euro a seconda del tipo di macchinari che piantano patate, reincalzano le radici e della tecnologia del raccoglitore meccanico». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico