ASCOLI «È stata una doccia fredda. È riuscito a scontentare un po’ tutti». Così il vescovo di Ascoli, monsignor Giovanni D’Ercole, ha...
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Non condivido il contenuto della nuova ordinanza – continua D’Ercole – perché sembra voler screditare la Chiesa, dipingendola come il luogo del contagio e considerano i preti alla stregua di untori. Inoltre, i luoghi di culto sono molto meno pericolosi per chi li frequenta rispetto ai supermercati, alle banche ed alle tabaccherie. Infine, sin dall’inizio dell’emergenza i sacerdoti hanno posto grande attenzione alla salvaguardia delle persone che frequentavano le chiese».
«Non dimentichiamo che sono stati i preti i primi ad applicare il distanziamento sociale. Critico fortemente l’atteggiamento del comitato scientifico che hanno supportato la politica nelle scelte maturate per la fase 2: o non conosce la realtà delle chiese o è in malafede».
Monsignor D’Ercole è un fiume in piena e non risparmia le stoccate al governo: «In questa maniera - osserva - si nega al cittadino un diritto fondamentale, costituzionalmente garantito, che è appunto la libertà di culto.
Prove di dialogo
Il premier Conte, a seguito dell’avvelenata nota della Cei, giunta pochi minuti dopo la sua conferanza stampa di domenica sera, ha aperto uno spiraglio al dialogo: si studierà un protocollo che consenta quanto prima la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche in condizioni di massima sicurezza. Un gesto distensivo che non fa certo esultare il vescovo D’Ercole: «Va apprezzata l’apertura - conclude - ma è un gesto indispensabile. Alla fine è la politica che deve decidere. Se questo compito viene lasciato agli scienziati non si farà mai nulla. La Chiesa ha la sua autonomia. Ci saremmo subito adeguati per evitare che i fedeli potessero correre dei pericoli, così come abbiamo sempre fatto. Aver preso una decisione senza prima ascoltare la Chiesa vuol dire che la collaborazione con lo Stato si è interrotta». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico